{{IMG_SX}}Ferrara, 17 maggio 2008 - «GLI DIAGNOSTICARONO un tumore alla testa, una neoplasia ventricolare destra con emorragia endovetricolare. Ma dall’esame istologico, post operatorio, risultò che di cellule tumorali nel piccolo paziente non c’era alcuna traccia». Il 15 aprile Marco ha festeggiato i suoi primi tre anni. Un’esistenza già segnata fortemente: per quei numerosi interventi chirurgici il bimbo oggi è totalmente invalido. Non respira autonomamente, mangia attraverso una sonda, non si muove ed è costretto a ben 17 terapie al giorno. La sua famiglia è distrutta e oggi chiede di sapere la verità su quanto successo al loro secondogenito. Vogliono giustizia e per questo, attraverso i loro legali, hanno fatto causa all’ospedale Sant’Anna che operò il loro bambino.

DRAMMA Marco nasce alla quarantesima settimana di parto naturale: un bel bambinone, pesa poco più di quattro chili. A casa cresce bene, è la gioia di mamma Barbara, di papà Valerio e del fratellino G. che oggi ha 6 anni e mezzo. «Rideva, a 40 giorni vocalizzava già», racconta il babbo. Una bella famiglia quella dei Bertelli, insieme vivono in una villetta immersa nella campagna dell’Alto Ferrarese. Ma il destino con loro presto diventa drammatico. A 46 giorni di vita per Marco iniziano i guai. Piange di continuo, si lamenta, si pensa alle coliche dei neonati, il medico gli riscontra una leggera otite. Il 2 giugno 2005 rifiuta il latte materno, al pomeriggio si sveglia e ha la testa girata verso destra. Ogni tentativo di tenerlo diritto è vano. Il braccino sinistro si muove in modo rotatorio, vomita. Viene ricoverato per una notte all’ospedale di Bentivoglio ma l’aggravarsi della situazione spinge i medici a trasferirlo al Sant’Anna.

IL «TUMORE». A Ferrara lo visitano, lo sottopongono ad ecografia. «Subito i dottori — dice il padre — hanno cominciato a parlare di tumore. La prima tac ha evidenziato l’esistenza di una emorragia cerebrale abbastanza evidente e per loro sotto c’erano cellule tumorali. Ci parlavano di massa, abbiamo chiesto quanto era grave da 1 a 10, ci hanno risposto 9,99».
La famiglia cade nella disperazione, il loro secondogenito, per i dottori, ha un tumore alla testa. Il 7 giugno, a quattro giorni dal ricovero ferrarese, Marco viene sottoposto a risonanza per vedere cosa c’è sotto l’emorragia. Passano due giorni e la circonferenza cranica del piccino è già di 45 centimetri. «Il Sant’Anna ci parlò di neoplasia. Abbiamo chiesto di cosa si trattasse — aggiunge Barbara, la mamma — hanno risposto che era tumore. Ci hanno detto che si poteva mettere un drenaggio esterno, fare uscire il sangue, e dopo qualche giorno intervenire sulla neoplasia. Ma i rischi erano molto elevati. La cosa certa era che sapevano come nostro figlio entrava in sala operatoria ma non come ne sarebbe uscito. E in più che una neoplasia che sanguinava non era di certo benigna».

L’ESAME ISTOLOGICO. Valerio e Barbara optano per l’operazione alla quale Marco verrà sottoposto l’11 giugno 2005. Dopo sei ore di intervento ne uscirà sveglio e non intubato. La sua testa, il giorno dopo, «era talmente deformata che non si riconosceva». La batosta arriverà più avanti con gli esiti dell’esame istologico: nessuna traccia di cellule tumorali. «Ci siamo chiesti — riprendono i genitori — cosa gli avessero tolto e i dottori ci dissero che l’emorragia aveva coperto le cellule tumorali». L’11 luglio viene dimesso ma le sue condizioni non migliorano e il 19 è nuovamente al Sant’Anna. Il dramma non si ferma, ad agosto compaiono pure sindrome epilettiche sul piccolo. Il 21 è nuovamente sotto i ferri per la sostituzione di una valvola e del drenaggio esterno.

«NESSUN TUMORE» La famiglia è stanca di vederlo operato e non migliorare mai. Chiedono un consulto al Meyer di Firenze. I medici rimangono cauti: «Con questa tac e risonanza non si può dire che c’è un tumore, ci può essere il sospetto» e aggiungono che «da noi avremmo subito drenato l’emorragia» perchè il danno che «provoca è superiore a qualsiasi altra cosa». Quell’emorragia, spiegano i genitori, «voleva subito tolta e non lasciata lì tanti giorni e sperare che si riassorbisse». Valerio e Barbara decidono di lasciare Ferrara per portare il bimbo al Meyer. Nella relazione clinica da portare a Firenze il nosocomio di corso Giovecca parla di «sospetto diagnostico iniziale non confermato dall’analisi istologica che non ha evidenziato cellule di natura neoplastica».

NESSUNA SPERANZA Il 30 agosto è al Meyer dove la diagnosi è terribile: «Questo bambino — chiude Valerio —, ci dissero, ha probabilità motorie zero». Oggi è costretto a nove farmaci alla mattina, tre al pomeriggio, nove alla sera. Ha una macchina per respirare la notte, mangia attraverso una canula. «Ha la vita rovinata — sussurra la madre — e oggi possono darci tutti quanti i soldi del mondo ma non ci ridaranno mai la nostra vita». Nonostante questo non odiano nessuno, semplicemente dicono con coraggio che il loro tesoro «non è stato curato da dottori non bravi ma con poca esperienza».