La cuccagna non è finita

Ferrara, 22 aprile 2018 - Pur comprendendo la gioia liberatoria di chi ha vinto le recenti elezioni politiche, rischia di perdere di significato - e di diventare stucchevole - l’abuso del motto ‘E’ finita la cuccagna’ da parte di taluni leghisti e simpatizzanti del centrodestra. Non solo perché il quadro politico è talmente instabile e mutevole che nessun risultato conquistato oggi può essere dato per scontato tra un anno ma anche perché a Ferrara la cuccagna - che, nella vulgata dei vincitori, indica il potere assoluto della sinistra e del Pd - è tutt’altro che finita. I partiti che puntano alla conquista del palazzo municipale del 2019, infatti, hanno ancora molta strada da fare. E molti dettagli da mettere a punto nella strategia, che al momento appare ancora incerta e confusa.

La ripetizione ossessiva di quel motto, infatti, fa insorgere il sospetto che, al di là dell’impeto goliardico post vittoria, dei post, dei Tweet e di una generica volontà del centrodestra di «iniziare a fare qualcosa insieme» - tutta da verificare sul campo anche se qualche timido segnale c’è stato - ci sia ben poco all’orizzonte. Con questa riflessione non intendo svilire il risultato o alzare il ditino verso chi gioisce (per questo c’è già la sinistra chic) bensì ribadire un concetto: l’obiettivo strategico di una vittoria alle prossime amministrative è ben lungi dall’essere raggiunto. E va conquistato, passo dopo passo, con pragmatismo e strategia non con slogan o piazzate baldanzose. Uno dei primi errori è la sottovalutazione del Pd. E’ vero che la bruciante sconfitta del 4 marzo ha annichilito la leadership nazionale e locale ma il Partito Democratico conserva in città e provincia un seguito ancora importante, che va rispettato e di cui è giusto tenere conto; una considerevole rete di clientele (da intendersi come nell’antica Roma); un vasto numero di associazioni, gruppi sportivi, movimenti, circoli culturali che ruota attorno al partito e che dal partito ha - legittimamente - tratto sostegno in termini di risposte amministrative, finanziamenti e quant’altro; molti militanti e dirigenti pronti a darsi da fare per riscattare la vittoria.

Insomma, il Pd è azzoppato e ha perso mordente ma non è defunto. Anzi, come un leone ferito si sta preparando a dare una zampata violenta pur di difendere le proprie posizioni. Sul fronte opposto, al di là dell’incerta tenuta dell’asse Salvini-Berlusconi, che avrà inevitabilmente ricadute locali, Forza Italia e Lega cercano di concordare azioni comuni ma - al momento - i risultati sono incerti e la strategia improvvisata. Come cercare di mescolare l’acqua e l’olio, insomma. Basta analizzare il caso ex Banzi: giuste le rimostranze (luogo sbagliato, modalità discutibili, scarso coinvolgimento dei residenti), giustamente cavalcate dalla minoranza. Ma l’azione politica si è risolta in una discreta caciara e in una azione muscolare che ha spaventato parte di quell’elettorato moderato cui l’asse FI-Lega dovrebbe rivolgersi per erorere voti del Pd al centro. Nessuna «squadraccia», come ha detto in modo sprezzante il sindaco, dunque. Ma una discutibile ansia di agitare e cavalcare la protesta che, francamente, non so quanto lontano potrà portare. Anche perché un anno, politicamente parlando, è davvero molto lungo.