Nel Pd ferrarese qualcosa sta cambiando

Analisi del dopo referendum

Ferrara, 6 dicembre 2016 - Hanno voglia i vari Vitellio, Calvano, Bratti e compagnia piddina bella a fare distinguo, contare i voti e azzardare paragoni nel goffo tentativo di mitigare l’unico, indiscusso e inequivocabile dato uscito dal referendum di domenica: Ferrara è stata, con Piacenza, l’unico capoluogo di provincia della rossa Emilia ad aver detto «No» alla riforma costituzionale (il caso Rimini, in Romagna, va valutato a parte). E non diversamente è andata nel resto della provincia, con l’eccezione delle solite roccaforti, come Argenta.

Pur ammettendo che rischia di essere un po’ tirata la lettura locale di un voto così nazionale e così fortemente tarato sul governo e sulla stessa persona di Renzi, è però vero che questo risultato - sorprendente - è indicativo del fatto che, anche a Ferrara, l’incantesimo s’è rotto.

Non è nemmeno bastato l’impegno del sindaco Tagliani e di tutto lo stato maggiore del partito - che, ricordiamolo, in città esprime anche un ministro di prim’ordine e un consigliere economico - a fermare l’onda del No. Il caso Carife, la politica sui migranti e la questione sicurezza - da mesi cavalli di battaglia di una opposizione ancora disunita ma sempre più combattiva - possono aver giocato un ruolo non indifferente. Su cui varrebbe la pena di riflettere.