Ferrara, 4 gennaio 2012 - «Sono orgoglioso di essere qui, di lavorare qui. Anche se nelle mappe di Cona ancora non risulto...». Paolo Zamboni, il medico ferrarese famoso nel mondo per la terapia che apre speranze concrete per i malati di sclerosi multipla, dondola sulla seggiolina. Sullo schermo del computer, lampeggia la posta elettronica: «Abbiamo dovuto chiudere una casella e-mail, era irrimediabilmente ingolfata...», sorride una collaboratrice.
Lettere, appelli, documenti, articoli di giornale: la sua fama è ormai internazionale.
«Sotto il profilo scientifico e medico è una cosa scomoda, attira e alimenta anticorpi negativi; per quanto riguarda la divulgazione della ricerca, è importante. Nella rete, sui social network passano anche informazioni preziose, ci sono decine di migliaia di malati che si collegano, si scambiano e ci scambiamo consigli ma anche piccole tenerezze».
Questo la ripaga delle difficoltà che da anni fronteggia per affermare la sua ricerca?
«Sì, è questo. E’ una cosa toccante quando un malato bussa alla tua porta e dice, in dialetto: brav dutòr, ma al n’andrà mina via, vèr? O quando ci si incontra con gruppi di familiari e di amici, per una pizza o una chitarrata, ed alla fine qualcuno lancia l’idea di una sottoscrizione. E’ un modo per far sentire viva la speranza del malato, e mette altri anelli dentro questa grande catena».
Una catena di solidarietà spontanea, di fiducia nelle potenzialità della ricerca, in fondo anche di sostegno economico.
«E’ una cosa che non avevo mai visto: la gente comune che si impegna così per la scienza. Ci ripaga di tante amarezze».
Che non sono certo mancate in questi anni.
«Non ne ho mai fatto una questione personale, in fondo è quasi normale per un medico, a Ferrara come nel resto del mondo, trovare contrasti specialmente quando si vuol affermare un’idea utile alla gente. La cosa che mi dispiace è che le vere vittime dello scontro che mi coinvolge, sono i malati che si ritrovano disorientati, che vengono sottoposti a un tam tam nel quale da una parte ci siamo noi che, con umiltà, chiediamo di poter completare la nostra ricerca, e dall’altra forti interessi anche economici».
A chi allude?
«Non mi chieda la lista dei buoni e dei cattivi: è sotto gli occhi di tutti che noi, da tre anni, lottiamo contro una sorta di blocco per l’attività di ricerca mentre più o meno sottobanco nelle strutture private vengono eseguiti migliaia di interventi, con parcelle molto costose».
Usa il plurale, ma non sembra essersi montato la testa: il suo ufficio qui al Sant’Anna però è piccolo, con la segretaria quasi vi contendete lo spazio.
«Di fatto sono da solo, circondato da borsisti dell’Università, con strumenti che non possono essere utilizzati per il benessere della gente. Non ho neppure un infermier: spesso, quando c’è un malato da spostare, ci danno una mano gli amici e gli studenti. Da un punto di vista assistenziale non ho proprio nulla...».
Il suo metodo diagnostico però è stato riconosciuto a livello internazionale, ed ha ottenuto anche l’ok dei comitati etici.
«Vero. Abbiamo messo a punto quattro o cinque test che esistono soltanto qui a Ferrara, e che rappresentano un punto di riferimento, lo dico senza presunzione. Almeno per la parte che riguarda gli angiologi e gli specialisti delle malattie vascolari. Per quanto riguarda i neurologi, e per l’area più interventistica, tutti sanno che si sono creati più problemi. E’ là che si annidano un po’ i miei nemici.. (Zamboni ride, ndr). Ma che vuole, questo è il mondo!».
La Regione però ha dato di recente l’ok anche al finanziamento della ricerca. Il tassello successivo, addirittura logico, sarebbe quello di fare del nuovo ospedale di Cona il centro di riferimento esplicito della sua ricerca.
«Ha usato una bella parola, sa: logico. Ci spero anch’io, perchè tra i motivi per cui non ho mai accettato le offerte che mi sono state fatte per trasferirmi altrove, ci sono i volti e le energie di quanti in questi anni hanno condiviso una strada tortuosa, pronti a combattere una battaglia ogni giorno. Ci sono le storie, le speranze, e soprattutto le facce dei malati che mi sorridono anche quando sanno che per loro tutto sembra perso. Questa è la... terapia che fanno a me».
E’ appena iniziato un anno forse decisivo per la sanità ferrarese e, di riflesso, per la sua attività. Qual è la maggiore aspettativa?
«Che mi mettano in condizione di lavorare. Io sono tranquillo, non ho alcuna paura: so di erogare un servizio eccellente, e che il frutto della mia ricerca non rappresenta un’illusione per i malati perché non ho mai promesso miracoli, ma detto che c’è una strada da esplorare e che forse gli studi che sto conducendo possono aprirci prospettive importanti non solo per la sclerosi multipla ma anche per le altre malattie neurodegenerative come il Parkinson, la Sla, l’Alzheimer. Non sono un visionario e neppure un guaritore: chiedo di essere finalmente messo alla prova. E Cona, sì, sarebbe il luogo ideale».