Ferrara, 16 marzo 2012 - «Non ci sono più ostacoli». E’ il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Gabriele Rinaldi a dare l’annuncio: da maggio partirà ufficialmente la sperimentazione del metodo Zamboni, e solo la prudenza impedisce di certificare che la ricerca avrà sin dal primo giorno la base nel nuovo ospedale di Cona. «A Cona ci saranno comunque spazi, modi e tempi per garantire lo studio — aggiunge Rinaldi —, e se questo avrà effetto, anche la successiva pratica clinica». Ma l’attenzione, per una volta, non è sulle vicissitudini dell’ospedale: «Dai, oggi lasciamolo un po’ tranquillo!», sorride Paolo Zamboni alla platea. Giustamente soddisfatto per la fine delle traversie e delle polemiche che hanno sin qui bloccato la partenza della sperimentazione: «Ormai da dieci anni un gruppo di ricercatori, in silenzio, ha posto un’ipotesi scientifica i cui dati sono stati circostanziati a livello internazionale — spiega il medico ferrarese —: ora lo studio ‘Brave Dreams’, finalizzato a valutare l’efficacia del trattamento di disostruzione venosa nei pazienti affetti da sclerosi multipla, potrà essere condotto nel modo appropriato». Nella sede auspicata (Ferrara), con un pannello di pazienti (685 in tutto) provenienti da una ventina di centri di riferimento in tutta Italia. E con la piena copertura dei fondi da parte della Regione, garante della spesa di 2 milioni e 742mila euro.
 

«Il momento di svolta — riprende Rinaldi — è arrivato con la garanzia dell’assessore alla Sanità Carlo Lusenti sul pieno supporto finanziario: a quel punto sono cambiati tutti i rapporti». Fondamentale il contributo delle associazioni e dei malati, formidabile serbatoio di consenso e di energia: «Sono grato a tutti coloro che si sono adoperati personalmente, nel grave momento in cui eravamo praticamente privi di fondi, per sensibilizzare la cittadinanza e raccogliere finanziamenti — dice Zamboni —. Ora però va chiarito che il marchio ‘Brave Dreams’ appartiene al comitato scientifico e alla Regione, nessuno può più utilizzarlo per promuovere ulteriori raccolte fondi a quel nome». Come sarebbe «dannoso associare il nostro impegno, che sarà lungo e difficile, a messaggi che diano per scontato che il trattamento che vogliamo sperimentare darà per forza risultati positivi». Zamboni è già stato scottato: «A New York mi è stato chiesto conto di un paziente canadese morto dopo un’operazione in Costarica, eseguita secondo gli accusatori in base al mio metodo; si è appurato che l’intervento era stato effettuato con tecnica ben diversa e fra l’altro molto cruenta». Perciò d’ora in poi massima cautela, anche nella diffusione dei dati: «Tutti quelli che saranno resi disponibili — sottolinea Rinaldi — verranno diffusi sul sito internet dell’Azienda Ospedaliera».
 

Serviranno infatti due anni, di cui uno di ricerca mirata sui pazienti, per valutare se il metodo Zamboni sulla Ccsvi (traduzione più semplice: occlusione venosa) potrà migliorare le condizioni di salute e la qualità della vita dei malati di sclerosi multipla.

Stefano Lolli