Ferrara, 4 dicembre 2012 - CARITA’, cultura e missione. Non sono il motto ecclesiastico di mons. Luigi Negri, nuovo arcivescovo di Ferrara: «Ma sono sicuramente le parole che ispirano la mia esistenza, religiosa e umana». Da Milano, dove ieri era impegnato in un’iniziativa culturale, il successore di Paolo Rabitti parla per la prima volta.

Come ha accolto questa designazione?
«Con spirito di servizio, ovvio. E con qualche trepidazione per la realtà (San Marino-Montefeltro, ndr) che lascio dopo sette anni. Ma arrivare a Ferrara è molto importante, la realtà culturale della città è di grande impatto, più consentanea forse alla mia natura».
Studioso, saggista, uomo di cultura. Ma da lei la Diocesi ed i fedeli si attendono azioni incisive sul piano pastorale.
«E’ evidente, e sotto questo profilo rassicuro i ferraresi e il clero locale: basta guardare quello che ho fatto in questi anni sul Monte Titano per sentirsi tranquilli (mons. Negri sorride, ndr)! Perché la cultura non è opposizione a niente, ma l’espressione di una fede capace di giudizio, dialogo e concretezza. Quindi matrice del confronto con la realtà viva in cui ciascuno di noi è chiamato ad operare».
Arriverà in una terra ancora scossa dal terremoto. La stessa Chiesa ha subìto danni rilevantissimi. Questo non la spaventa?
«E’ una grande responsabilità, ne sono consapevole. Porterò la solidarietà, anche materiale, che potrò. L’arcivescovo però, e immagino che sia la sensazione condivisa da mons. Rabitti in questi mesi, non è solo in questa impresa. Ferrara, come il resto dell’Emilia Romagna, è una comunità che sa e vuole reagire alle grandi difficoltà, perciò basterà accompagnarla in modo autorevole nella ripresa. Lo stesso dovrà esser fatto nei confronti del clero, che fa i conti anche con un patrimonio ferito: dovremo riscoprire una nuova solidarietà».
Ha già parlato con monsignor Rabitti del lavoro che l’attende?
«Brevemente, alla vigilia della nomina. Ci siamo dati appuntamento fra qualche giorno, inizieremo ad approfondire tutti gli aspetti di quello che lei definisce... lavoro. L’assolvo, non tema, ma per un vescovo si tratta di una missione e di un impegno di vita, nel significato più vero di questa parola».
Di lei è noto il ruolo ai vertici di Comunione e Liberazione; qualcuno dice che si tratta di una sorta di ‘targa’. Cosa risponde?
«Che non c’è nulla di più fuorviante che attaccare simili etichette. E’ evidente che il mio percorso, personale e di fede, s’inserisce nel carisma di don Giussani: ma tenendone sempre presente la declinazione autentica, verso la realtà di popolo, nell’essenziale della vita e della verità. Non come spiritualismo fine a se stesso, perché per don Giussani fra l’altro lo spiritualismo era il grande nemico».
Entrerà in Duomo il 17 febbraio 2013. In quello che papa Benedetto XVI ha già decretato come l’Anno della Fede.
«Nel Sinodo il Santo Padre ci ha chiesto espressamente di recuperare e rinnovare la linfa più autentica della religiosità e del nostro essere nella comunità. Sarà il primo richiamo che lancerò ai ferraresi, ma sono certo che in questo rileverò l’azione positiva di mons. Rabitti».
Cosa conosce di Ferrara?
«Ahimè, poco. Sono venuto in un paio di circostanze: all’inaugurazione di una sala consiliare allo scomparso Enrico Zanotti (consigliere comunale e figura di riferimento di Cl in città, ndl), poi ad un convegno. Conto di colmare presto questa lacuna».
Un’ultima domanda: come definirebbe, sotto il profilo umano, Luigi Negri?
«Una persona che non ha altre risorse, nella propria vita, se non la fede».

Stefano Lolli