Ferrara, 12 aprile 2013 - Da sempre tabù, da oggi non più. Nel cuore della città, resiste alla crisi un cinema misterioso, almeno nell’immaginario collettivo: il Mignon. Sono circa un centinaio gli affezionati, tra loro anche «tre chirurghi, un anestesista ed è passato pure un diacono» ricorda il cassiere Giuseppe Boccardo.

Un pubblico davvero motivato, disposto a fare chilometri dopo la recente chiusura di alcune sale venete, e ripagato da una programmazione quotidiana di nove ore, che alterna film su dvd e in 35mm. «Per la trama, insomma, si sa come funziona — continua sornione Giuseppe —. Più o meno tutti i salmi vanno in gloria». Eppure, Massimo Alì Mohammed, il regista del documentario sullo storico cinema, assicura di aver scoperto delle chicche introvabili, pellicole anni ‘60 e ‘70, «fatte certo senza lasciar spazio all’immaginazione, perché il porno è così, esplicito».

Risalendo i 400 posti della sala fin su in galleria, ecco la cabina dove Franco Talamini sta montando le bobine. Talamini non è uno qualsiasi; il padre, Enrico, gestì agli albori il Ristori e il Reale e costruì il Manzoni; «Fu lui a mandare in giro i primi uomini-sandwich che pubblicizzavano i film». La galleria è presidiata da diverse persone: «Non chiedono ‘è bello il film?’ ma ‘che gente c’è?’». Già, perché, per dirla con Giuseppe, «le coppie fanno i loro numeri. E c’è anche chi esce paonazzo dopo quattro ore». Tuttavia, è un certo decoro a permettere al Mignon di funzionare ancora. Nello, l’altro cassiere, ha appena respinto due donne: «Sono note. Verrebbero qui a prostituirsi». I clienti entrano ed escono, incuranti di un primo e di un secondo tempo. Per tutti c’è una parola, o un cappello da ritirare.

C’è chi scappa per i nipotini da andare a prendere all’asilo, chi ‘Am tòca andàr a cà’ perché la moglie ha chiamato, chi si ferma a parlare di politica. «Tutti quelli che vanno al jazz club sono davvero interessati a quel che succede? — scherza il regista — Qui, semplicemente, non ci sono facciate». Da via Porta San Pietro, il Mignon saluta: «Anche il sindaco passa tutti i giorni. In bici, si intende. Per casa sua si va di là».

di Luigi Pansini