Ferrara, brutale aggressione. "Presa a pugni e lasciata a terra"

Il racconto choc di una donna di 32 anni, pestata a sangue ai piedi dell'Acquedotto: "Mi ricordo di cinque stranieri. No a derive razziste"

Sandra, dopo l'aggressione

Sandra, dopo l'aggressione

Ferrara, 2 dicembre 2017 - Circondata, pestata a sangue e derubata dal branco. Un incubo nel quale è precipitata una donna di 32 anni, assalita a scopo di rapina mentre tornava a casa dopo aver trascorso la serata con alcune amiche in un locale. Una notte che difficilmente dimenticherà e della quale porta ancora addosso le stimmate. Il volto tumefatto e le ferite che hanno smesso da poco di sanguinare.

Testimonianze vive di una violenza inaudita e senza ragione, ancora una volta avvenuta nel cuore del quartiere Giardino. Il tutto è accaduto intorno alle 21.30 di giovedì. Dopo aver salutato le amiche la donna, Sandra Maestri, si è diretta verso casa del fratello, in via Cassoli. Arrivata in piazza XXIV Maggio, ai piedi dell’Acquedotto, è stata accerchiata e aggredita da un gruppo di uomini.

Secondo le ricostruzioni, i malviventi l’avrebbero colpita al volto fino a farle perdere i sensi. Una volta ripresasi, la 32enne ha potuto vedere i suoi aggressori allontanarsi. Su una panchina poco lontano ha ritrovato la sua borsetta aperta e il portafoglio svuotato dei 500 euro che conteneva. Quei soldi erano lo stipendio che aveva ricevuto dal padre per il lavoro svolto nell’azienda di famiglia. La donna è stata portata in ospedale, medicata e dimessa con una prognosi di sette giorni. Sulla vicenda indaga la polizia di Stato.

Sandra, ci racconti cosa è accaduto l’altra sera all’Acquedotto. «Ho un grande buco nero. Un attimo prima stavo attraversando la piazza e poco dopo ho riaperto gli occhi con un dolore fortissimo al volto».  Partiamo dagli istanti prima dell’aggressione. Dove era?  «Ero andata a trovare delle amiche che hanno aperto un’enoteca. Mi ero persa l’inaugurazione perché ero in vacanza e così sono passata ieri sera (giovedì, ndr) per vedere il locale».  A che ora vi siete salutate? «Siamo rimaste a chiacchierare per un po’ dopo l’orario di chiusura. Sono uscita intorno alle 21.15».  A quel punto dove è andata? «A casa di mio fratello, che vive in via Cassoli. Volevo portargli una bottiglia di vino».  E per andarci è passata per l’Acquedotto. Conosce la zona? «Io sono di Jolanda ma vengo spesso in piazza XXIV Maggio per il mercatino. La mia famiglia ha un’azienda agricola e io gestisco una bancarella di frutta e verdura».  Era a conoscenza della fama del quartiere? «So cosa succede sotto al balcone di mio fratello, in via Cassoli. Ma non pensavo che i problemi arrivassero fino a quella piazza».  Qual è il suo primo ricordo dopo il pestaggio? «Quando ho ripreso i sensi mi sono trovata sdraiata a pancia in su dietro a una panchina. Ho visto i miei aggressori scappare».  Ha potuto vederli in faccia? «I volti non li ricordo. Sulle prime mi sembravano cinque, ma non sono così sicura. Comunque erano un gruppo di stranieri».  Cosa ha fatto quando si è resa conto d essere stata picchiata? «Ho chiamato mio fratello. Poi sono stata portata in questura e al pronto soccorso».  Cosa le hanno rubato? «Sulla panchina, vicino a dove mi sono svegliata, ho trovato la mia borsa e il portafoglio aperto. Dentro c’erano 500 euro. Erano un anticipo del mio stipendio che avevo appena ricevuto da mio padre per fare alcuni regali e per pagare la palestra. Tutto sparito».  Cosa ha pensato quando ha capito cosa era successo? «Ero confusa e avevo la bocca piena di sangue. Ma ho pensato che avrebbe potuto andare molto peggio. Meglio le botte che essere violentata».  Ora ha più paura a girare per la città? «Non l’avevo prima e non ne ho ora. Adesso sono solo consapevole del fatto che quella zona è pericolosa. Anche alle 21».  La sua disavventura sta già diventando un caso politico.  «Non vorrei venisse strumentalizzata. È così che nasce l’intolleranza. Sono una persona in grado di distinguere chi delinque, straniero o no, dalle brave persone».  Lei ha deciso di rendere subito pubblico quanto accaduto con un post e una diretta su Facebook. Perché? «Innanzitutto per far sapere a tutti che stavo bene. E poi per spiegare esattamente come sono andate le cose. Volevo evitare cattiverie gratuite e derive razziste».