Aggressione a Salvini a Bologna, Fabbri testimonia in tribunale: "Abbiamo evitato il linciaggio"

L’attuale sindaco, insieme al leader leghista, fu preso di mira dai manifestanti

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"Per la prima e unica volta in vita, ho temuto per la mia incolumità e per quella delle persone che avevo accanto". Lucia Borgonzoni lo ripete quattro, cinque volte in aula. "Chi ci aggredì, voleva fare un linciaggio". Nel giorno di Matteo Salvini, ’bloccato’ a Roma per gli impegni di governo, tocca alla senatrice leghista, Lucia Borgonzoni, essere sentita come testimone e tornare all’8 novembre 2014 quando l’auto del leader del Carroccio, con lei a bordo, venne assaltata da un gruppo di antagonisti. Sedici dei quali ora a processo a vario titolo per violenza privata, lesioni, danneggiamento, ingiurie.

Alta tensione. Era il giorno della visita di Salvini al campo nomadi di via Erbosa, a Bologna, lì dove venne aggredito anche un nostro cronista. E cinque giorni prima la senatrice fu presa a schiaffi da una donna, poi condannata. La Borgonzoni, all’epoca consigliere comunale, arrivò all’appuntamento con Salvini insieme ad Alan Fabbri, in corsa per la presidenza di viale Aldo Moro e oggi sindaco di Ferrara. "C’era la campagna elettorale per le regionali – spiega Borgonzoni – e tra le tante iniziative c’era il sopralluogo in quell’area del Comune". I due incontrarono Salvini poco fuori dall’autostrada e salirono sulla sua auto. Ma le notizie che continuavano ad arrivare da via Erbosa non erano buone. Notizie di tensioni tra i manifestanti pronti a contestare il leader del Carroccio. "Arriviamo all’Arcoveggio, fermiamo l’auto e decidiamo come muoverci". Lì c’erano già i giornalisti ai quali Salvini, sceso dalla Volvo condotta da Aurelio Locatelli, spiegò i suoi dubbi: proseguire o rinunciare alla visita visto il clima che si era creato? "All’improvviso vediamo arrivare verso di noi un gruppo di ragazzi, più di 10. E le intenzioni non erano di aprire un confronto politico". Salvini e i colleghi si chiusero in auto, subito circondata e presa di mira. "Gridavano di andarcene da Bologna, ci offendevano. Poi le botte sulla carrozzeria e i salti sul tetto e sul cofano". Dopo di lei è stata la volta di Alan Fabbri, parte civile con la collega: "Grazie ad Aurelio abbiamo evitato un sicuro linciaggio. Faccio politica dal ’99 e ho sempre creduto nel confronto, quella volta si oltrepassò il limite e da qual momento iniziarono durissime contestazioni contro di noi. Fino alla fine della campagna elettorale, le forze dell’ordine controllarono la mia abitazione e quella della mia famiglia". Nessuna scusa dagli imputati, tutt’altro come ha ricordato Fabbri: "In tv uno di loro rivendicò l’azione e ribadì che era stato giusto usare violenza. Inaccettabile". Il 30 marzo esame degli imputati.