
Matteo Carletti, sociologo e consulente filosofico: "Dopo il Covid è cresciuto l’abbandono sportivo"
Da presidenti e allenatori di varie società sportive è partito un appello per indagare un fenomeno che interessa soprattutto le categorie giovanili delle varie discipline, vale a dire l’abbandono sportivo, in gergo "dropout". Una tendenza che si è maggiormente acuita nel periodo che potremmo definire post-covid. Alleanza Digitale, progetto sostenuto e finanziato dalla Fondazione Estense e dall’Associazione tra fondazioni di origine bancaria dell’Emilia-Romagna, si è occupata in questi mesi di stimolare l’argomento attraverso una serie di laboratori che hanno coinvolto ragazzi e ragazze all’interno delle scuole, giocatori e giocatrici di varie discipline sportive, genitori e dirigenti. Tra i professionisti calatisi nell’esperienza c’è Matteo Carletti, sociologo e consulente filosofico, che ha attinto dalla propria esperienza di giocatore prima e allenatore poi, per metterla al servizio del progetto.
"Alla luce del lavoro svolto e delle tematiche emerse durante gli incontri, si può analizzare il fenomeno dell’abbandono sportivo come la punta di un iceberg che porta con sé una complessità di elementi, e che vede nella parte più profonda, l’ormai endemica difficoltà della nostra società di approcciarsi al desiderio – le sue parole –. La nostra società oggi è fondata su una solitudine strutturale: ci troviamo ad essere connessi e sovrastimolati, illudendoci così di non essere mai soli, ma la realtà è che comunichiamo con gli altri, ma non ci confrontiamo. I ragazzi in primis, ma gli adulti non sono da meno, trovano modelli di confronto nelle foto postate, nei reel di Instagram, nei video di Tik Tok, tra gli short di YouTube. Ci sono dei modelli di vita standardizzati che vengono riproposti in tv, nei giornali e sui canali social. È negativo tutto questo? No, se accanto hanno qualcuno con cui confrontarsi. In un’epoca liquida, esposti all’incertezza, a rischi, guerre e cambiamenti repentini, lo sport acquisisce un grande valore nella narrazione della vita quotidiana. Fornisce punti fermi e capisaldi importanti, identità e valori condivisi. I ragazzi si trovano però a vivere una quotidianità che rimanda la possibilità di esser scartati se non raggiungono certe performance, restituisce il loro essere inutili se non aiutano a vincere".
"Per concludere quindi – chiosa Carletti –, penso che lo sport debba oggi riprendere ed esaltare quel suo grande valore di socialità. Per fare questo, ha bisogno del supporto da parte di adulti che siano coerenti, non tanto con l’idea di performance, quanto con quella di desiderio. Se tutti noi continuiamo a esprimere linguaggi che usano solo parole quali performance, utilità, dare il massimo e risultati, non apriremo mai a un approccio alla vita che sia carico di eros, inteso come amore e desiderio. Dovremmo ricordare di tornare in panchina anche noi ogni tanto, perché la panchina non si subisce, ma è una condizione che fa parte della vita e aiuta a misurarci sul nostro desiderio. Ricordiamocelo, si può essere "inutili" e amare lo sport, solo così parleremo ai ragazzi un linguaggio che li possa aprire alla vita e al desiderio, e li aiuti a riscoprire l’amore per lo sport che praticano al di là di frustrazioni e difficoltà".
Jacopo Cavallini