"Armeni, Erdogan nega ancora"

Antonia Arslan domani protagonista nell’evento al Comunale: "Il genocidio nascosto dalla ‘narrazione’ turca"

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di Federico Di Bisceglie

Si affastellano, nell’archivio della storia, connivenze e silenzi. L’infaticabile voce che non ha mai perso il fiato necessario per denunciare il genocidio perpetrato ai danni del popolo armeno è quella di Antonia Arslan. Scrittrice di successo, docente universitaria che attraverso il suo ‘La masseria delle allodole’ (Rizzoli), ha restituito alla scrittura della storia le lettere di una pagina per troppo tempo taciuta. Un massacro negato, maturato all’ombra di parole con le quali si voleva raccontare un’altra vicenda. Proprio Arslan sarà protagonista domani dell’evento organizzato dal Teatro Abbado e che sarà trasmesso sul canale YouTube del Comunale. Nel dialogo a più voci, fortemente caldeggiato dal direttore Moni Ovadia, prenderanno parte Vittorio Robiati Bendaud, saggista e coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, oltre a Ovadia stesso. La cornice sonora è affidata a Claudio Fanton, suonatore di duduk, antico strumento tradizionale armeno.

Arslan, domani ricorre la giornata in cui si ricorda il genocidio armeno. Una tragedia che, pur essendo faticosamente uscita dall’oblio, ancora è negata dalla Turchia. Come se lo spiega?

"Non va mai dimenticato che il negazionismo, ancor prima di quello relativo alla Shoah, nasce in seno alla perpetrazione del massacro armeno. Nel momento stesso in cui i Giovani Turchi hanno iniziato la loro opera genocidaria, è iniziata la negazione di quanto stava accadendo. Si sono usate delle parole ‘totem’ per edulcorare un massacro efferato, che portò alla morte oltre un milione e mezzo di persone. La Turchia ha responsabilità profonde. Da sempre vige un negazionismo di Stato. Ma il punto vero è che, con l’ascesa di Erdogan, questo negazionismo si è ulteriormente corroborato, ammutolendo le ultime, flebili, voci di dissenso".

Prima dell’ascesa di Erdogan il clima era diverso in Turchia?

"Fino a dieci anni fa, qualche voce di accusa, qualche intellettuale o giornalista che non fosse piegato alla narrazione turca del genocidio armeno c’era. Ora tutto questo non esiste più e il livello di negazionismo attuale è davvero preoccupante".

Forse è per questo che ancora, nel 2021, è doveroso ricordare l’efferatezza genocidaria perpetrata ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1916.

"Nel 2021 e ogni anno. Il 24 aprile per noi rappresenta l’inizio delle grandi retate che portarono all’annientamento della classe intellettuale armena che risiedeva a Costantinopoli. Intellettuali, giornalisti, scrittori, poeti. Una popolazione spazzata via".

Il senso del ricordo, a Ferrara, ha un significato maggiore?

"Sì, specie per la grade tradizione di presenza ebraica che questa città vanta da secoli. Da sempre sostengo che tra i due genocidi (quello armeno e quello a danno della popolazione ebraica), ci sia una stretta correlazione. Lo spettacolo comunque credo sia una bella opportunità di riflessione. Con Moni Ovadia che leggerà alcuni stralci, anche della Masseria delle allodole, la mia ballata caucasica e qualche passaggio del libro ‘Killing orders. I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno’, di Taner Akçam. Oltre, ovviamente, a un dialogo molto profondo tra me e l’amico Vittorio Robiati Bendaud".

Il livello di consapevolezza sul genocidio armeno tra le persone è alto?

"Le dirò che tra le persone è molto più alto rispetto a quanto non lo sia tra i politici. Basti pensare che, a margine del conflitto in Nagorno-Karabakh, una delegazione di politici italiani (di destra e di sinistra) hanno omaggiato il dittatore azero Aliyev. Per non parlare del silenzio imbarazzante dll’Ue in quel frangente. Insomma, più che tra le persone comuni, tra i politici c’è ancora tanto da fare".