Atti falsi per permessi di soggiorno: 60 nei guai

Fine indagine per quattro consulenti e 56 stranieri. Secondo la Finanza, aprivano partite Iva e fornivano al fisco dichiarazioni fasulle

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di Federico Malavasi

Realizzavano false dichiarazioni dei redditi per permettere ai propri clienti stranieri di ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. Il tutto, ovviamente, dietro pagamento. Il ‘gioco’, secondo gli investigatori, sarebbe andato avanti almeno dal 2014. A guastare la festa ai soggetti coinvolti – quattro consulenti fiscali e 56 clienti – sono stati i militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza. Gli uomini delle fiamme gialle hanno scoperto il presunto giro illecito, mettendo sotto inchiesta tutte le persone sospettate di farne parte. La lunga e complessa attività è arrivata a conclusione nelle scorse ore, quando la procura ha emesso sessanta avvisi di conclusione delle indagini preliminari. Gli indagati devono rispondere di vari reati. I quattro consulenti fiscali (tre con studio nel Bolognese e uno nel Ravennate) sono accusati innanzitutto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Devono poi rispondere, stavolta in concorso con gli extracomunitari che avevano chiesto le prestazioni (in buona parte nigeriani o marocchini), di falso in atto pubblico e induzione in errore di pubblico ufficiale.

A dare il via alle indagini sono state alcune segnalazioni di natura amministrativa arrivate alla caserma di via Palestro dall’Ufficio immigrazione della questura e riguardanti numerose domande di rinnovo del permesso di soggiorno da parte di stranieri residenti nel Ferrarese. L’esame della documentazione fiscale redatta per il rilascio dei documenti ha subito fatto ‘drizzare le antenne’ agli investigatori. In molti casi, infatti, i professionisti avrebbero chiesto all’Agenzia delle Entrate l’attribuzione solo ‘formale’ della partita Iva per i loro clienti, perché questi non avrebbero di fatto mai avviato alcuna attività imprenditoriale. In sostanza, nonostante avessero dichiarato di operare nei settori del commercio e dell’artigianato, in realtà nessuno dei ‘neo imprenditori’ aveva una sede effettiva per la propria azienda, né tantomeno attrezzature, macchinari, dipendenti, clienti o fornitori. Insomma, dei ‘fantasmi’. A fronte di ciò, secondo quanto ricostruito dai finanzieri, a fine anno i consulenti avrebbero inserito nelle dichiarazioni al fisco dati inventati (dal fatturato alle spese), riferiti a una contabilità ritenuta inesistente.

Con tale stratagemma, i quattro indagati avrebbero dimostrato che i propri assistiti avevano il reddito sociale superiore alla soglia minima (5.983,64 euro), elemento necessario per avviare le pratiche per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. E, in particolar modo, di quello di lungo periodo, molto più ambito perché consente di spostarsi liberamente e di ottenere il ricongiungimento familiare. Un trucco, come accennato, che sarebbe andato avanti per almeno sette anni attraverso il collaudato metodo del passaparola. Un sistema ben oliato, secondo gli inquirenti, del quale ora tutti e sessanta dovranno dare conto.