Caso Bergamini, il processo: “Ci dissero che era un suicidio. Ma da subito sembrò impossibile”

Ieri un’altra udienza fondamentale nel dibattimento sulla morte del calciatore di Argenta. Il giornalista Milicchio: “Il procuratore ci disse che era stato trascinato per 45 metri ma sull’asfalto non c’erano segni né sangue”

Donato Bergamini

Donato Bergamini

Ferrara, 2 febbraio 2023 – Una dopo l’altra si susseguono le testimonianze davanti alla Corte di Assise di Cosenza per la morte di Donato Denis Bergamini, il calciatore argentano ucciso il 18 novembre del 1989 in provincia di Cosenza e fanno emergere con chiarezza disarmante come non fosse assolutamente necessario attendere 30 anni per aprire un processo per omicidio.

Oggi è stata la volta di uno dei giornalisti che fin dalle ore successive al diffondere della notizia ha scritto e cercato spiegazioni a quella morte così atroce fatta passare per un suicidio. "Qualche giorno dopo la morte di Denis (2-3 giorni dopo) – ha affermato Milicchio – mi sono recato nella sede Rai di Cosenza per avere notizie ed informazioni. Si stava procedendo alla trascrizione di un’intervista fatta al procuratore Abate, nella quale lo stesso affermava con certezza che si trattava di un suicidio e che l’autopsia non fosse necessaria, siccome non era necessario appurare le cause del decesso. L’unica ipotesi alternativa che Abate introdusse fu quella di un suicidio assistito e entrò anche nella spiegazione delle modalità, affermando di un trascinamento del corpo del ragazzo per circa 45 metri. Dopo le sue affermazioni decisi di fare un sopralluogo sulla statale 106. Mi recai sul posto dell’incidente dove venni subito fermato da una pattuglia dei carabinieri, ma poi riuscii comunque a vedere che non c’era alcuna frenata né macchia di trascinamento motivo per il quale sin da subito esclusi l’ipotesi del suicidio”.