Il progetto Unife: "Ecco il bracciale salva astronauti"

Il professor Zamboni, tra i curatori: "I loro problemi cardiovascolari e neurologici dovuti all’assenza di gravità sono il primo ostacolo alla possibilità di prolungare i voli spaziali al di sopra dei sei mesi "

Paolo Zamboni, direttore del centro delle malattie vascolari dell’Ateneo

Paolo Zamboni, direttore del centro delle malattie vascolari dell’Ateneo

Ferrara, 24 gennaio 2022 - Unife verso lo spazio. Unife verso l’Expo di Dubai. Unife è ora al centro dell’attenzione, più che a livello internazionale, è il caso di dirlo, universale. Il progetto Drain Brain 2.0 si è classificato primo a livello nazionale tra le 35 proposte, risultando vincitore del bando per "ricerche e dimostrazioni tecnologiche sulla Stazione Spaziale Internazionale". Un progetto dell’Università degli studi di Ferrara, che coinvolge, in maniera interdisciplinare, diversi dipartimenti dell’Ateneo: accanto a Paolo Zamboni, principal investigator e direttore del centro di malattie vascolari dell’Ateneo, anche Angelo Taibi del dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, la ricercatrice Erica Menegatti del dipartimento di Medicina Traslazionale e per la Romagna e il ricercatore Giacomo Gadda del dipartimento di Fisica e Scienze della Terra. Un progetto finanziato con circa 450mila euro, con un interesse strategico in ambito spaziale, che affronta il tema centrale della salute degli astronauti, attraverso l’ideazione un nuovo pletismografo. Ce l’ha spiegato nel dettaglio proprio Zamboni. Professore, in parole semplici, cos’è un pletismografo? "È un sensore che appare come un cinghietto che si mette al collo. Con dei calcoli piuttosto complessi dà la possibilità di ricavare segnali a distanza sulle differenze di volume. Per esempio, può vedere il volume di sangue che passa nei vasi: il cambio di volume rappresenta in sostanza quanto sangue sta passando dentro a certi organi". E quando è nato questo progetto? "Nasce da un altro progetto del 2014-15 con Samantha Cristoforetti. Uno dei problemi dell’esplorazione spaziale è che i nostri astronauti non resistono in quella condizione oltre i 6/7 mesi, perché cominciano ad apparire sintomi cardiovascolari, neurologici…quindi, per indagare la circolazione cerebrale in assenza di gravità, ho ideato un esperimento in cui si usavano 4-5 strumenti". E con Cristoforetti avete ottenuto i primi risultati. "Le piaceva molto il progetto. Samantha ci ha dato l’anima, già dalla fase del ‘14-‘15, con il training all’Agenzia Spaziale Europea. Solo che quell’esperimento era molto complesso e siamo riusciti a farlo solo con un soggetto. Poi, però, dati alla mano, mi sono reso conto che migliorando il pletismografo, per permettere a questo strumento di rilevare anche l’attività cardiaca con dei micro-sensori, si poteva costruire uno strumento portatile, un cinghietto indossabile anche dagli altri membri dell’equipaggio, che permette un sistema di monitoraggio continuo e potenzialmente salva vita per viaggi molto lunghi, come ad esempio su Marte o lungo la Via Lattea. Questo è il progetto vincente". Che verrà presentato all’Expo di Dubai. "Esatto. La prossima settimana. Alla presentazione ci andrà l’altra anima della ricerca: il professor Taibi. Il medico interpreta lo strumento, il fisico lo realizza: la scienza è un lavoro di squadra…ad esempio è stato fondamentale Giacomo Gadda, con cui abbiamo progettato uno strumento poco più grosso di una carta di credito che si collega wireless al cinghietto pletismografo". Il progetto può avere una sua utilità anche a terra? "Tengo sempre in considerazione questo aspetto. Sì, il pletismografo può essere utile alla telemedicina, per quelle persone che hanno difficoltà a muoversi e che devono coinvolge i caregiver…ci sono mille vantaggi. Si applica al paziente, che così non si deve muovere da casa: in pochi minuti la stazione ricevente raccoglie i segnali e il medico può fare la diagnosi a distanza". Ho capito, vincerete il Nobel. "Ma no (ride, ndr.)… è certamente innovativo, ma lo capiremo una volta utilizzato sul campo. Magari aprirà orizzonti di ricerca sconosciuti: per esempio può aiutare a capire molto meglio come si muovono i fluidi e il sangue nel cervello. È molto affascinante perché si potrebbe relazionare allo sviluppo di malattie neurodegenerative".