Cristiano
Bendin
Invece così
non avviene, offrendo la triste impressione di una città imprigionata in questo eterno clima di scontro personale e ideologico, dove le opposte tifoserie si scontrano in quel patetico vomitatoio di rabbie e frustrazioni che sono i social e dove anche quei pochi che cercano di ragionare vengono fatti oggetto di attacchi. Col paradosso che a difendere Bruce, eroe degli ultimi e dei diseredati, amico dei democratici e inclusivi Biden e Obama, sono i "cattivi leghisti razzisti" mentre a criticare con veemenza è una parte della sinistra (non tutta), che usa una rockstar del suo livello come pretesto per attaccare l’amministrazione. E, ripeto, in discussione non è il diritto di critica nè la più che sacrosanta richiesta di chiarezza sui conti dell’evento (bene ha fatto la consigliera del Pd Chiappini a intervenire) bensì la mancanza di consapevolezza che, dopo un po’, diventa palese ai più la matrice politico-ideologica che si cela (malamente) dietro gli attacchi su erba, costi, alluvione, traffico e uccellini. A me francamente sembra tutto molto triste. L’ha notato anche Paolo Cognetti, scrittore, vincitore del Premio Strega, fuori dai giochi politici e presente il 18 giugno scorso al concerto: "Mi pare che attaccare Bruce – ha detto al nostro giornale due giorni fa – sia stato in qualche modo un pretesto per attaccare l’amministrazione. Fa tutto parte del modo di fare politica ai giorni nostri: invece di discutere di contenuti, si attacca l’avversario senza esclusione di colpi". Una domanda sorge spontanea: a quali mete ambiziose può puntare una città che si divide su tutto, anche su un concerto che, al netto di critiche e distinguo, ha portato indotto e visibilità mondiale? Altro quesito, la cui risposta è già iscritta nelle tavole ma che rivolgiamo alla Lega (che ha introdotto il modello) e a tutti gli altri partiti: vogliamo davvero affrontare una campagna elettorale di qui al 2024 a suon di post e veleni?