Cent’anni fa ‘l’altro eccidio’ del Castello

Il 20 dicembre del 1920 quei colpi esplosi nel giorno dei due cortei, quello fascista e quello socialista. Morirono sei persone

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di Stefano Lolli

Dicembre di sangue. Non è il titolo di un thriller, ma la ricorrenza dei fatti che, cento anni fa e proprio in questi giorni, coinvolsero e travagliarono la nostra città. Il 20 dicembre del 1920, infatti, si verificò un eccidio – nulla a che vedere con quello, immortalato anche dal cinema, della ’lunga notte del ’43’ – nel quale persero la vita tre fascisti (Natalino Magnani di Conselice, Giorgio Pagnoni di Gaibanella e Franco Gozzi di Portomaggiore) e il socialista Giovanni Mirella. Altri due uomini, il fascista Giuseppe Salani e il socialista Giuseppe Galassi, si spensero nei giorni successivi per le conseguenze degli scontri e dei colpi d’arma da fuoco, esplosi dai merli del Castello Estense mentre il corteo dei fascisti percorreva corso Giovecca verso via Roma, l’attuale Corso Martiri della Libertà.

Un episodio tragico che esige premessa. Nelle elezioni del novembre 1919 i socialisti massimalisti guidati dal sindaco Temistocle Bogiankino avevano vinto le elezioni; Ferrara, come ricorda l’appassionato di storia locale Gian Paolo Bertelli, "da rossa veniva già definita ’amaranto’ dai cronisti locali. Il contesto politico era particolarmente difficile in quei giorni. Da una parte venivano incendiati i fienili di chi non voleva sottostare ai diktat delle leghe, dall’altro iniziavano le spedizioni punitive dei fascisti". Si arrivò così al 20 dicembre, giorno nel quale erano state indette due manifestazioni; una, indetta dai socialisti per protestare contro il crescente clima di violenze (che aveva avuto come epicentro la vicina Bologna), l’altra invece promossa dai fascisti. Per evitare scontri di piazza, l’allora prefetto Di Carlo ordinò che l’iniziativa dei socialisti si svolgesse all’interno del Teatro Comunale. Ma come detto, dal Castello partirono colpi di arma da fuoco, che causarono morti e feriti. Gli storici sono stati lungamente divisi sulla matrice del gesto. C’è chi attribuisce con certezza a militanti rossi l’attentato, chi invece parla di elementi provocatori. E’ certo invece che i primi colpi sarebbero stati sparati con varie armi dalla terrazza, dalla loggia e dalla veranda dei locali della Deputazione Provinciale, rivolti verso piazza della Pace e verso corso Vittorio Emanuele, oltre che da alcune finestre dello stesso teatro comunale. Secondo la questura, l’eccidio risultò "preparato da molto tempo e con molta cura". Inoltre il segretario comunale di Formignana aveva consigliato un amico di allontanarsi dalla città quel giorno, in quanto aveva visto "preparare un piano infernale", mentre cibarie e bastoni erano stati consegnati da due fra i responsabili dell’eccidio a elementi esterni. Questo comunque il telegramma inviato all’indomani dell’accaduto al Ministero, con la sommaria ricostruzione del Prefetto: "Gruppo fascista imbattutosi casualmente con gruppo socialista con bandiera rossa, avvenne colluttazione, e chi portava la bandiera rossa esplose primo colpo ed uccise fascista Franco Gozzi, determinando conflitto; ma incidenti avrebbero avuto ben minori conseguenze se dall’alto del Castello, sede Amministrazione provinciale, improvvisamente non fossero stati sparati colpi micidiali".

A esito dell’accaduto, il prefetto depose poi il sindaco Temistocle Bogiankino, mentre il procuratore del Regno Costantino Jannacone spiccò mandato di cattura nei confronti di Gaetano Zirardini, segretario della Camera del Lavoro, e del socialista Aroldo Angelini. Ai funerali partecipò una folla imponente, con oltre 15-16mila persone, fra le quali un giovane capitano degli alpini, Italo Balbo.