"Cinzia Fusi, il killer non si è pentito Lei agonizzava e lui non la salvò"

Le motivazione della sentenza di condanna all’ergastolo di Cervellati, l’assassino della giovane: "Ha confessato soltanto perché si è trovato davanti i carabinieri. Persona scaltra e priva di ravvedimento"

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di Federico Malavasi

Saverio Cervellati ha ucciso la compagna Cinzia Fusi "colpendola ferocemente una prima volta all’improvviso quindi ripetutamente, senza lasciarle alcuna via di scampo". E il tutto perché mosso dalla "gelosia" e dalla "paura di perdere la donna amata per la quale aveva rinunciato alla sua famiglia". Sono le parole con cui i giudici della corte d’Assise descrivono l’omicidio della 34enne di Cologna, avvenuto il 24 agosto del 2019 nel garage del negozio di casalinghi ‘Spendi bene’ di via Primicello, a Copparo. Per quel fatto di sangue, nell’ottobre scorso è stato condannato all’ergastolo il compagno e datore di lavoro della vittima, Cervellati appunto, commerciante di 54 anni. Nelle diciannove pagine di motivazioni alla sentenza, la corte ricostruisce nei dettagli l’aggressione subita dalla giovane donna puntando il dito sul mancato pentimento dell’omicida e sulla sua volontà di "non fare emergere completamente i reali accadimenti", tra cui "l’intensità del dolo omicidiario" posto in essere "verso una donna inerme che non si è difesa". Insomma, una volontà di uccidere di "spiccata intensità" seguita da una confessione dettata, secondo i giudici, non da un gesto spontaneo bensì imposto "dalla presenza ‘in loco’ dei carabinieri", fermi per un posto di controllo a pochi metri dal negozio.

Sulla base di questa convinzione – fortemente contestata dalla difesa di Cervellati che ha già fatto ricorso in appello – i giudici hanno negato all’imputato le attenuanti, comprese quelle legate al comportamento tenuto subito dopo i fatti e durante il processo. Secondo la corte, infatti, un vero pentimento "non c’è mai stato". Ciò sarebbe dimostrato non solo dal fatto che dopo "l’orribile crimine" non si sarebbe attivato "per salvare la donna che era ancora" agonizzante ma anche dal non aver fornito spiegazioni credibili su quanto fatto in quell’ora trascorsa tra l’aggressione e la confessione. Per la corte, Cervellati non avrebbe mai chiarito "perché avesse posizionato all’interno della bocca" di Cinzia "un fazzoletto" né perché si fosse "lavato accuratamente e cambiato d’abiti, perché avesse inviato dei messaggi a sua moglie con la modalità di lettura ritardata e perché avesse cancellato tutti i file afferenti a Fusi presenti sul suo computer e sul suo cellulare".

Non solo. L’imputato non ha spiegato nemmeno perché accanto al corpo della 34enne si trovassero dei grossi sacchi di plastica gialla. "Materiale ritenuto invero – scrivono i giudici – maggiormente compatibile con una eventuale attività di occultamento del corpo" che non a riparare Cinzia dal freddo, come Cervellati ha più volte ripetuto. Insomma, un quadro che ha spinto i magistrati a descrivere il commerciante copparese come una "personalità scaltra" e priva di "reale pentimento e ravvedimento" per l’efferato crimine commesso. Una motivazione sulla base della quale l’avvocato Elisa Cavedagna, legale di Cervellati, ha proposto Appello. L’udienza di secondo grado è fissata per il 21 e 22 luglio.