FRANCESCO FRANCHELLA
Cronaca

Connubio plastico tra arte e medicina. Il caso delle sculture di Ossuccio

L’attenzione del professor Paolo Zamboni, con un team di esperti per le deformazioni fisiche delle statue

Connubio plastico tra arte e medicina. Il caso delle sculture di Ossuccio

Immagine della nona cappella: il Calvario, un uomo trascina Cristo che porta la croce

Il difetto fisico, nella storia delle arti plastiche e figurative è spesso associato a temi negativi: morte, dolore, follia, ambiti infernali, allegorie, come le rappresentazioni dei vizi (celeberrimi sono quelli giotteschi, ma anche a Ferrara ne abbiamo un esempio, nella Sala dei Vizi e delle Virtù di Casa Minerbi Dal Sale). Di interpretare questi segni, se ne occupano iconografi e iconologi. Tuttavia, in alcuni casi, può risultare una materia di studio anche per i medici. Diverse, infatti, sono le patologie collegate a difetti della pelle o deformazioni. Si può supporre che, in passato, questi difetti portassero pittori e scultori a dare a certi personaggi malati ruoli che trascendessero il vero significato (e le cause) delle malattie stesse. Sembra che rientri in questo discorso il caso evidenziato da un gruppo di professori e ricercatori dell’Università degli Studi di Ferrara, formato da Giorgio Zavagli, Valentino Marino Picciola e Paolo Zamboni. Si tratta di uno studio pubblicato nel giugno di quest’anno sulla rivista mensile ‘Journal of Endocrinological Investigation’, dal titolo (tradotto dall’inglese) ‘Sculture con il gozzo nel Sacro Monte di Ossuccio: quando segni patognomonici hanno uno specifico significato morale’. Il tema è più semplice di quanto sembri. Vicino a Tremezzina, sul lago di Como, si trova il santuario della Sacra Vergine del Soccorso. Per accedervi, bisogna percorrere una strada in salita composta da 14 cappelle, costruite tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. Ogni cappella è dedicata a un mistero del rosario, con opere che rappresentano le vite di Cristo e della Vergine. In particolare, oltre agli affreschi, sono presenti 230 statue votive, di diversi artisti, in stucco e terracotta, alcune delle quali recano dei caratteri tipici di chi è affetto da gozzo tiroideo e da cretinismo endemico. Per esempio – come si legge nell’articolo pubblicato –, nella settima cappella decorata dallo scultore Agostino Silva (1628-1706) e dedicata alla flagellazione di Cristo, si vede chiaramente un uomo con aspetto feroce, grande gozzo, verruche sul viso e naso estremamente voluminoso, colto nell’attimo in cui lega Cristo alla colonna. Subito dopo, nell’ottava cappella, dedicata all’incoronazione di spine, vi è un uomo inginocchiato e rivolto in maniera aggressiva verso Gesù: presenta i caratteri del gozzo e, tra l’altro, ha il tipico aspetto di chi è affetto da cretinismo. Ancora, nella nona cappella, dedicata al mistero della salita al Calvario, un uomo sta trascinando Cristo, che a sua volta porta la croce. Ebbene, il carceriere in questione ha un gozzo molto grande, labbra protruse e orecchio deformato. Nella decima cappella, dedicata alla crocifissione (con ben 45 statue), vi è una figura che reca l’iscrizione ’Inri’ e che presenta gozzo largo, bocca semi aperta e dentatura danneggiata. Il fatto che i soggetti appena descritti siano affetti da gozzo tiroideo e/o da cretinismo non è casuale. Infatti, la zona del lago di Como (e del santuario) è nota per le sue acque con scarso contenuto di iodio. Le motivazioni, che ci ha spiegato Zamboni, sono molteplici: "distanza dal mare, disposizione delle valli rispetto ai venti prevalenti e basso contenuto di iodio nelle acque dei torrenti di quell’ambito geografico". Tuttavia, ancor più rilevante è il fatto che lo scultore "abbia volontariamente utilizzato la morfologia di soggetti con gozzo e cretinismo per rappresentare gli efferati torturatori di Gesù": la malattia, stigmatizzata come mostruosità, a indicare una negativa connotazione morale. Un caso interessante, in cui la medicina aiuta l’arte. E viceversa.