
Le bobine di acciaio poste sotto sequestro dalla guardia di finanza
Nuovi guai per l’azienda ferrarese finita sotto indagine per un presunto contrabbando di acciaio dall’estremo oriente. Nel corso delle indagini, già approdate a un primo sequestro dello scorso ottobre, la guardia di finanza ha scoperto e ricostruito altre sessanta operazioni di importazioni di bobine eseguite con lo stesso trucco, cioè con la consegna all’Agenzia delle dogane di certificazione che attestava la diversa origine del prodotto. In particolare, l’azienda avrebbe spacciato come proveniente dalla Corea del Sud dell’acciaio in realtà prodotto in Cina, il tutto allo scopo di eludere il pagamento dei diritti doganali (il cosiddetto dazio anti dumping che grava sulla merce proveniente dal Paese del dragone). Per i nuovi episodi portati alla luce dalle fiamme gialle, è scattato un secondo maxi sequestro da 950mila euro (cifra nella quale è stato quantificato l’illecito risparmio dovuto al mancato pagamento dei diritti doganali). La somma oggetto del sequestro è stata rinvenuta sui conti della società ferrarese durante la fase di esecuzione del provvedimento. Tra la documentazione sequestrata durante le perquisizioni in varie zone d’Italia, gli investigatori hanno trovato i certificati originali predisposti dalla società produttrice dell’acciaio sui quali era riportato, oltre al nome dell’azienda, l’effettiva origine del metallo. In fase di importazione, le dichiarazioni sono poi risultate essere state alterate nella parte relativa alla provenienza.
Con quest’ultima azione, raggiunge complessivamente i tre milioni e trecentomila euro l’importo sottoposto a sigilli nell’ambito dell’inchiesta. L’ultimo provvedimento, si diceva, è stato il frutto degli approfondimenti del nucleo di polizia economico finanziaria del comando di via Palestro nell’ambito del procedimento penale che vede coinvolti i responsabili di due imprese, quella ferrarese appunto e una di Varese. Le accuse ipotizzate a vario titolo sono contrabbando e falsità ideologica in atti. Secondo le contestazioni, come accennato, gli imprenditori avrebbero attestato falsamente l’origine dell’acciaio, spacciandolo per proveniente dalla Corea del Sud mentre in realtà si trattava di metallo cinese. In questo modo avrebbero dunque ‘dribblato’ il tributo che pesa sui prodotti provenienti dalla Cina. I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2021 e il 2023.
Federico Malavasi