Coronavirus Ferrara, il racconto. "Tre mesi di buio, poi sono guarita"

La storia di Maria Florio, 72 anni, in ospedale dall’11 marzo al 23 luglio: "Essere sopravvissuta non ha prezzo ma è stata dura"

Maria Florio, 72 anni, ha contratto il Coronavirus

Maria Florio, 72 anni, ha contratto il Coronavirus

Ferrara, 2 agosto 2020 - Maria Florio, a settantadue anni, ha visto la morte in faccia. Non che questa di per sé sia la notizia. Ma "prima di aver contratto il Coronavirus mi sentivo una roccia. Ora mi sento anziana e debilitata". Per quattro mesi la sua casa è stata l’ospedale di Cona. Prima la pneumologia e l’ingresso in ospedale ricoverata per una febbre altissima. Poi la sentenza senza appello: Covid-19.

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Quando ha scoperto di aver contratto il virus cinese? "Dopo tre giorni dal mio ricovero. Ai primi di marzo ho iniziato ad avere una febbre piuttosto pronunciata. Quando sono arrivata a lambire i 40 gradi, i miei familiari hanno deciso di ricoverarmi. Il 19 marzo sono entrata a Cona. Il 22 i medici hanno iniziato a spiegarmi che la situazione si stava aggravando. Io non ricordo nulla. So solo che mi hanno ricoverato in terapia intensiva. E, per i tre mesi successivi, è stato il buio".

Fino a quando è stata in ospedale? "Dall’11 marzo al 23 luglio. Un calvario. Non ne vedevo la fine e, tutt’ora, malgrado io sia rimasta sostanzialmente autonoma, porto sulla mia pelle i segni evidenti delle lesioni che il virus ha provocato".

Di che cosa parla? "Io sono stata intubata per circa tre mesi. I medici, che hanno lavorato in maniera egregia con una coordinazione straordinaria, hanno dovuto fare una scelta: mi dovevano salvare la vita. Essere sopravvissuta chiaramente non ha prezzo. Però l’essere intubata per così tanto tempo mi ha provocato una paresi ad un muscolo della lingua, un’altra paresi a una corda vocale e una disfagia. Dunque, una volta uscita dalla rianimazione (circa a metà maggio), ho dovuto iniziare un percorso riabilitativo per ritornare a mangiare ‘solidi’ e, una volta ogni due settimane, devo andare dal logopedista in day hospital per gli esercizi di riabilitazione linguistica".

Cosa ha provato in quei lunghi mesi in corsia? "Sono stati due mesi di black-out. Non riesco ancora a parlarne. Ho fatto anche incontri con psicologi per capire perché non ne volessi parlare. Ma ancora riesco a capire. Ho parlato a lungo con un team di universitari che sta facendo uno studio sul post covid. So solo che l’impegno dei sanitari, in particolare del professor Contino e della dottoressa Marcu, è stato davvero incredibile. Il loro sforzo è qualcosa di incredibile e, da ex medico, lo dico con cognizione di causa. Peraltro il valore aggiunto di questo impegno è stato specialmente quello legato alla parte più ‘umana’. Nella mia stanza al reparto di pneumologia Covid potevo vedere solo i sanitari. Ma comunque non mi hanno mai lasciata sola. Sono stati una seconda famiglia".

Diciamo che sul Coronavirus, sui suoi effetti e sulla carica virale, ci sono opinioni contrastanti anche da parte dei virologi. Lei che c’è passata, cosa si sente di dire? "Il Covid è una malattia micidiale. Vedere i giovani che si assembrano mi fa davvero innervosire. Io so che cosa si prova, so come ci si sente, so che inferno bisogna superare. Insomma quello che c’è da fare è essenzialmente avere prudenza: fidarsi dei nostri medici, usare mascherine, guanti e gel ma soprattutto non ascoltare informazioni fuorvianti. Questo virus è brutto, fidatevi di chi solo qualche giorno fa ha rivisto un piccolo spiraglio di luce in fondo al tunnel".