
Emozione per l’evento di apertura del mese che accompagna le contrade fino alle gare di piazza Ariostea
L’ingresso dall’estremo transetto a far fronte all’altare maggiore della cattedrale dei parroci delle chiese locali, recanti ognuno il foulard della contrada di appartenenza, è forse l’emblema più significativo dell’avvio del Palio. Le loro tuniche bianche, sobriamente suggellate dai colori di borghi e rioni, riassumono il senso del rito della benedizione dei Palii e dell’offerta dei ceri: oltre a rievocare la storia, con un’essenziale nota di folklore (è sempre questo lo scopo finale del Palio), anche compendiare l’annosa separazione tra vita spirituale e temporale. Ed è il fatto che il Palio sia di tutti – laici e chierici, donne uomini giovani e meno giovani, neofiti e vegliardi – che lo innesta, senza dubbio alcuno, nell’ampio e dibattuto concetto di "patrimonio". In questo solco, è soprattutto la marcia di figuranti a determinare, con l’autorità della tradizione, l’ansia collettiva, in fondo piacevole, di respirare il classico clima che, pur non avendolo vissuto, chiunque percepisce come proprio: si tratta del miracolo di ritornare, per qualche ora, al principio della civiltà estense. Così succede in piazza Trento e Trieste, dove turisti e comitive di cellulari infiocchettati con la smania di fotografare distolgono l’obiettivo dal prospetto di Nicholaus, rivolgendolo alla processione di dame e cavalieri, paggi e armigeri, musici e sbandieratori, riversati all’improvviso su corso Martiri della Libertà. Direzione, cattedrale di San Giorgio. Il suono di tamburi e trombe si fa via via più vicino. In lontananza si ammirano i primi vessilli: prende forma dai riverberi del sole il gonfalone del Palio estense.
Dietro, qualche autorità marcia con ordine, tradendo suggestione e sentimento. Subito dopo, finalmente i quattro Palii: quello rosso di San Romano, quello verde di San Paolo e quelli dei due patroni, San Maurelio (bianco) e, il più ambito di tutti, San Giorgio (giallo). Seguiamo l’incedere del corteo nel suo ingresso in cattedrale: i palii passano il bassorilievo col santo cavaliere e avanzano lentamente lungo la navata centrale, sistemandosi davanti all’altare, ai piedi dell’abside col Giudizio Universale di Bastianino. La Corte ducale reca cesti con offerte: pane ferrarese, frutta, fiori. A turno, i figuranti di borghi e rioni, prendono posto, in attesa di consegnare i ceri subito dopo la benedizione dei Palii.
Anche i parroci coi foulard delle contrade prendono posto, insieme a don Massimo Manservigi, uomo di Palio, pronto a pronunciare la sua omelia, rivolto alla platea composta da colori diversi (e rivali): "Nulla più di voi, pur nella diversità di casacca e nel vivace spirito di competizione, è sinonimo di unità nelle differenze e nulla più di voi è specchio della nostra società. Anche questo è un modo per essere Chiesa, per essere comunità, per essere tutti sotto lo stesso cielo: oggi quello del Cristo di Bastianino; tra poche settimane, quello di piazza Ariostea, la piazza Nova, con il suo inconfondibile profumo di vittoria. E allora che si rinnovelli sempre il grido ‘Este viva!’ ma soprattutto ‘Donne e uomini del Palio viva!’". Adesso sì, che il mese del Palio può cominciare.