
Joe Tacopina è riuscito in pochi anni a inimicarsi la tifoseria e ad affossare la Spal che ora dovrà ripartire dall'Eccellenza
Ferrara, 7 giugno 2025 – Hanno ucciso la Spal, ed è la terza volta in 21 anni, dopo Pagliuso 2005 e Butelli 2012. Stavolta a disarcionarla è cowboy Joe, il Tacopina tutto promesse e niente arrosto. Da un domani indefinito (ma ci vorrà molto, molto di più di un giorno), ci diremo che forse è stato meglio così: recidere un cordone ombelicale ormai malsano alla radice per ripartire dal basso con nuove premesse.
Ma oggi no, oggi prevale la rabbia, regnano indignazione e sconforto. Che la Spal Usa fosse ormai a rischio di scomparire per insolvenze societarie si era ben capito: solo una insperata botta di caso – danarosi soci pronti all’acquisto del club o promozione casuale, visto che di programmazione a stelle e strisce nemmeno parlarne… – poteva rilanciarne davvero le quotazioni.
In C si perdono solo soldi, e che quelli di Joe e dei suoi investitori non fossero infiniti era ben chiaro da tempo, visti gli scarti che entravano. Ciò che rende in eterno imperdonabile Tacopina è il velo di silenzio fin quasi a disfatta compiuta. La proprietà americana aveva abituati ad arrivare coi dollari all’ultimo istante, e già quest’anno la squadra aveva pagato caro "l’andar lunghi” della primavera precedente. Ma dopo di allora non si era più fiutato in via Copparo quel tipo di apprensione e le scadenze erano state onorate, tanto che fino a 48 ore dal patatrac in sede regnavano fiducia e tranquillità.
Solo mercoledì sera, a seguito dell’incauto fundraising di Follano su Linkedin poi ritirato, è divenuto visibile che il re si stava denudando di soppiatto, all’insaputa anche dei suoi più stretti collaboratori.
Una quiete prima della tempesta che ha impedito alle stesse istituzioni di tentare di attivarsi a soluzione del problema: quando Alan Fabbri è stato informato, era già troppo tardi. Così la Spal muore di nuovo. La attende nella migliore delle ipotesi un’Eccellenza da percorrere con diversa compagine societaria e forse senza marchio. E’ una categoria cavalcata con giusto entusiasmo da Sant’Agostino, Comacchio e Mesola, ma che per Ferrara è storico picco al ribasso, mai così giù in una vicenda ultracentenaria. E anche quel futuro a oggi appare nebuloso e non scontato, se non si corre e non si trovan soldi in fretta. Partito con gran prosopopea per fare della Spal la nuova Atalanta, Tacopina è stato capace soltanto di una retrocessione, tre sofferte salvezze, una penalizzazione e un dito medio a una curva stizzita nel giorno della discesa in C, di cui non ha saputo comprendere la normale frustrazione da mancate promesse.
E’ riuscito a spaccare e inimicarsi tifoseria e ambiente, infliggendo alla piazza la feroce delusione della cancellazione dal calcio appena dopo l’unico giorno di sollievo della sua esperienza, il 2-0 salvezza al Milan Futuro: il tutto, gettando milionate, e baloccandosi a farneticare di un improbabile rilancio fino a poche ore prima del gong del ko finale. I debiti ora resteranno problema suo.
Alla Spal rimane invece la polvere di questa supersonica picchiata: dalla serie A all’Eccellenza in cinque anni è facilmente record mondiale. Per non parlare della cenere nel pugno dei dipendenti e dell’indotto del mondo Spal, nonché dell’imminente sventramento del settore giovanile. Due squadre under sono impegnate nelle finali nazionali di categoria, sapendo che dopo di loro, il nulla.
E a quei giovani cosa raccontiamo, Tacopina? Un disastro, ha compiuto Joe. Molti pensano a una vendetta su un ambiente che lo ha respinto. Più facilmente, son ragioni di business. Ma come ha potuto vincere altrove Joe, visto il metro di gestione a porte sempre girevoli? E se non c’erano dollari, come spiegare il no al milione offerto dal Toro di Vagnati per la futura rivendita di Gineitis? Qual era il disegno? Sono tante le domande ancora senza risposta. Si temeva un delitto perfetto del tipo retrocessione-in-D-senza-ripescaggio-causa-penalizzazione: sventato in extremis quello, ecco piombarti in testa una pietra ancora più dura e affondante.
Ma la sola grande bellezza del quadriennio, e cioè quei diecimila, quei commoventi diecimila al Mazza contro il Milan, oggi idealmente moltiplicati per dieci se non per cento, risorgeranno. La bellezza non va perduta, non muore mai. Risorgeremo.