FEDERICO MALAVASI
Cronaca

Crac Magazzini Darsena, l’udienza: "Nessun arricchimento personale. Accusa piena di contraddizioni"

Il processo per bancarotta a carico di Mascellani arriva alle battute conclusive, parola alla difesa "Non ci furono operazioni distrattive né dolo. Ora l’assoluzione e la restituzione delle somme sequestrate".

L’ingegnere e imprenditore Roberto Mascellani

L’ingegnere e imprenditore Roberto Mascellani

Nessun "arricchimento personale" né operazioni "dolose o distrattive", ma soltanto "erogazioni da una società all’altra" del gruppo. Ha parlato per oltre tre ore l’avvocato Gian Luigi Pieraccini, difensore (insieme al collega Andrea Zarbo) di Roberto Mascellani, ingegnere e imprenditore a processo per bancarotta in relazione ai fallimenti di Magazzini Darsena, Partxco e Sinteco. Nella scorsa udienza il pubblico ministero Stefano Longhi aveva chiesto per Mascellani la condanna a nove anni di reclusione per le vicende legate al fallimento. Ieri è stata la volta della difesa con la sua istanza di assoluzione da tutte le accuse. I legali dell’ingegnere hanno insistito sulle "contraddizioni" di cui questo processo sarebbe "pieno", rispondendo punto per punto agli addebiti sostenuti in requisitoria dalla procura.

L’arringa di Pieraccini è partita con un’ampia premessa, che si è focalizzata anche sulla figura di Mascellani. "Un imprenditore – ha affermato – che ha fatto la storia economica della città, è stato presidente della squadra di pallacanestro e ha dato lavoro a centinaia di persone". Il legale ha poi sottolineato le incertezze che interessano ogni attività economica, stringendo il focus sul "rischio di criminalizzare l’insuccesso imprenditoriale". Entrando nel merito, la difesa ha sostenuto l’insussistenza di qualsiasi tipo di responsabilità ascrivibile all’imputato, "erroneamente ritenuto dominus incontrastato del gruppo Sinteco". Poi si è addentrata nelle accuse principali, quelle cioè sui passaggi di denaro tra società. Secondo la difesa tali trasferimenti erano consentiti sulla base di "vantaggi compensativi" in capo alla società che erogava i finanziamenti. "Il processo – ha scandito Pieraccini – sembra invece affermare che il finanziamento di denaro sia reato di per sé". Il discorso si è poi spostato sull’assenza, all’epoca, di un concreto pericolo di danneggiare i creditori, in quanto tali operazioni erano state svolte in un periodo molto lontano dalla fase dell’insolvenza.

Non solo. Tutti i trasferimenti di denaro oggetto dei capi di imputazione venivano "regolarmente annotati" nei bilanci societari fino al 2006, documenti mai contestati dalle banche. Cenni rapidi, infine, sul trasferimento di soldi all’estero ("Altro equivoco, non c’entra col processo") e su una presunta falsa fattura ("Era vera") prima di chiedere ai giudici l’assoluzione da tutti i reati ipotizzati e la restituzione delle somme oggetto di sequestro. In chiusura, per quanto riguarda le richieste risarcitoria da 32 milioni chieste dal fallimento di Magazzini Darsena, la difesa ha ridimensionato in 200mila euro il danno massimo risarcibile in caso di condanna. La sentenza è prevista per il 26 settembre.