"Da 42 anni tra i banchi Sono io a dire benvenuti"

Giovanna Chessa, una vita a pulire aule e corridoi. Questo è il suo ultimo anno. Con le colleghe racconta i compiti che svolgono per far funzionare il Roiti

Gli occhi si velano un po’ e cerca di non pensarci. Che la prossima, mancano nemmeno 48 ore, sarà la sua ultima campanella. Ma come si fa a non pensarci dopo 42 anni di vita tra banchi e corridoi, la prima ad aprire la porta della scuola, nello scorrere come in una pellicola delle migliaia di volti di ragazzi che le hanno sorriso. Giovanna Chessa – il caschetto biondo, guanti e piumino per togliere la polvere – da 42 anni fa la collaboratrice scolastica. E’ stata a Cento, all’Ipsia di Ferrara, adesso lavora nella succursale del Roiti. Questo per lei è il suo ultimo anno e un po’ le dispiace lasciare i suoi ragazzi, quelli gentili e con la grinta da ’secchioni’ ma anche quelli con la piega della bocca un po’ ribelle.

Ieri era lì – con la sua tenuta – per sistemare due palestre della scuola. Via la polvere, tutto immacolato per accogliere studenti con pantaloncini, scarpette, sulle magliette il volto di qualche vip e la speranza che finalmente questo sia un anno senza Covid. Non ancora vicini vicini, perché la prudenza non è mai troppa e tanti presidi preferiscono mantenere le distanze. Non è sola. Alla postazione, schierate subito all’ingresso per dare il benvenuto e una manciata di informazioni, c’è Anna Breviglieri, 63 anni. Un bel sorriso. "Mi piace avere a che fare con i ragazzi", dice. Aprono la porta, fanno le pulizie, sorvegliano anche che tutto fili per il verso giusto. I collaboratori scolastici – una volta erano chiamati i bidelli – sono un po’ l’anima delle scuole. "Senza di noi – aggiungono – la scuola resterebbe chiusa". Ha un curriculum di 28 anni tra aule e lavagne Angelica Canella. "Ho lavorato in tanti istituti – cerca di racchiudere in qualche parola quella che è tutta una vita –, il mio lavoro mi piace, credo sia un ruolo fondamentale". Parla e c’è orgoglio in quelle frasi. L’orgoglio di chi si sveglia ogni mattina per andare a lavorare, di chi sa che sta facendo qualcosa di buono. C’è un vassoio di paste che forse qualcuno ha portato per loro sul tavolo, vicino a registri e quaderni, penne e matite. Martina Arrighetti, una collega, lascia per un attimo il suo lavoro e si avvicina. Anche il suo mondo è fatto di quei banchi, voci di ragazzi che si rincorrono per i corridoi. Non suona una campana tanto diversa al liceo Ariosto, in via Arianuova. Elisabetta Bellati, la mascherina dietro il vetro che protegge la sua postazione subito a fianco dell’ingresso, si sveglia alle sei del mattino per essere lì, sempre presente. "I giovani sono cambiati – dice – lo si vede qui, lo si vede anche nella nostra società. Ci sono quelli bravi, che ti rispettano, che magari si affezionano anche. Ma non tutti sono così. Quando ho cominciato a fare questo lavoro era diverso".

Quando entrano per la prima volta a scuola, sono timidi. Chiedono di tutto con un filo di voce, poi quello spazio diventa il loro mondo. Giovanna Chessa ha fretta, deve tornare in palestra. Tutto deve essere pronto per il primo giorno di scuola, come è sempre stato nella sua vita. Domani mattina, cercando di vincere l’emozione, farà suonare di nuovo la campanella che aprirà le porte di mesi tra compiti in classe, vocabolari e quaderni. Vedrà quell’onda di visi sciamare nell’atrio, come fosse tornata a 42 anni fa quando era lei ad essere ancora una ragazza. Prima di diventare per il Roiti quasi un’istituzione, sempre gentile. Mentre dice "Buongiorno ragazzi".

m. b.