
Donato Denis Bergamini, il calciatore ucciso il 18 novembre 1989
di Matteo RadognaLa parola fine, dopo quasi 36 anni, sull’omicidio del calciatore del Cosenza Donato Denis Bergamini non è stata ancora scritta. La sentenza di primo grado, con la condanna a 16 anni di Isabella Internò come mandante dell’assassinio del suo ex fidanzato di allora, è stata, infatti, impugnata sia dalla procura del tribunale di Castrovillari nel Cosentino che dall’avvocato difensore della donna. La procura, che aveva chiesto una condanna di 23 anni, ricorre in cassazione contestando la "concessione delle attenuanti generiche in relazione alle aggravanti riconosciute"; mentre l’avvocato difensore ricorre in appello adducendo, fra le altre cose, "dubbi serissimi in ordine alla causa della morte di Donato Bergamini" e ancora "non è stato possibile accertare quando sarebbe stato ucciso e con che modalità sarebbe stato ucciso. L’istruttoria dibattimentale – prosegue la difesa – non ha offerto in termini di certezza ‘al di là del ragionevole dubbio’ non solo la prova dell’uccisione ma, altresì, la riconducibilità della condotta, quale mandante o esecutrice, in capo ad Isabella Internò". Così l’avvocato della famiglia Bergamini, Fabio Anselmo: "Sono soddisfatto del ricorso in cassazione proposto dal pm che auspico possa essere trattato in appello unitamente al ricorso proposto dalla difesa". Per quanto riguarda il ricorso in cassazione della procura, il pm Alessandro D’Alessio contesta la concessione delle attenuanti generiche, spiega la sua impugnazione sulla base di "importanti elementi emersi nel corso dell’istruttoria". In particolare, il pm fa riferimento alla "falsità della versione dei fatti fornita da Isabella Internò alle autorità inquirenti sid dalle prime dichiarazioni, oltre che ai suoi familiari, e la pervicacia nel mantenere tale versione per 35 anni". E ancora: "Il conseguente inquinamento probatorio – prosegue il pm – che ha reso particolarmente complesso ed ha gravemente ritardato l’accertamento dei fatti, sicché il ritardo nell’intervento dello Stato è la conseguenza del comportamento di Isabella Internò. ritardo, tuttora, attuale in relazione all’individuazione dei correi e ciò proprio a causa della condotta della Internò". Il pm, inoltre, sottolinea nel ricorso "l’efferatezza dell’omicidio e il fatto che l’imputata non abbia dimostrato di non avere alcun ripensamento e non di non avere in alcun modo rimediato la sua esperienza". A tutto questo, secondo il pm, si aggiungono "le riconosciute circostanze aggravanti della premeditazione e del motivo abietto e futile". L’avvocato difensore della donna, invece, sottolinea il carattere indiziario del processo, ossia nel quale non esiste una prova decisiva e concreta a carico, in questo caso, della Internò. "È stata ritenuta penalmente responsabile – conclude la difesa – sulla scorta di mere presunzioni,idee, congetture e forzature dei dati indiziari".