
Emilio Arlotti, Pasquale Colagrande, Mario Hanau, Vittore Hanau, Giulio Piazzi, Ugo Teglio, Alberto Vita Finzi, Mario Zanatta, Gerolamo Savonuzzi, Arturo Torboli e Cinzio Belletti. Dieci antifascisti e un testimone: undici morti e undici omicidi, in tre luoghi diversi della città. "Erano undici, riversi, in tre mucchi separati, lungo la spalletta della Fossa del Castello, lungo il tratto di marciapiede esattamente opposto al caffè della Borsa e alla farmacia Barilari", scriveva Bassani nel suo celebre racconto, ambientato in dicembre (anziché in novembre), perché l’effetto dei corpi, del sangue antifascista contrastasse, con maggior evidenza, la candida indifferenza della neve, allegoria della città. "Chi non ricorda, a Ferrara, la notte del 15 dicembre 1943?".
Il poeta modifica il tempo, ma la storia non cambia: l’Eccidio, quello reale, risale alla notte del 15 novembre 1943. Ieri, come ogni anno, Ferrara ha onorato i suoi caduti e, siccome, nel tempo, si alternano i volti – assessori, prefetti, docenti, studenti –, ma il ricordo rimane lo stesso, la giornata ha assunto un titolo, che è piuttosto un obiettivo: ‘Per non dimenticare’. Due sono stati i momenti centrali della celebrazione, divisa tra Corso Martiri della Libertà e Sinagoga di via Mazzini, dove sono intervenuti, prima della lettura di salmi, il rabbino capo, Luciano Meir Caro, e il presidente della Comunità Ebraica ferrarese, Fortunato Arbib.
"Citiamo spesso la frase: ‘ricordiamo perché non si ripeta mai più’ – osserva Arbib –. Oggi, alla luce dei recenti massacri perpetrati da Hamas e degli episodi di antisemitismo, che in Europa sono triplicati, non possiamo più affermarlo. Perché questo odio verso gli ebrei? Facciamo abbastanza? Sbagliamo qualcosa?". "Sono passati ottant’anni – aggiunge il rabbino –, ma il ricordo di quanto accaduto nella civile Europa, che ha visto lo sterminio di milioni di persone nella totale indifferenza, è per noi costante. Qualcuno sostiene che sia il momento di cambiare pagina, ma come dimenticare soprusi e violenze che hanno provocato indicibili dolori?". Tante domande, poche certezze. La sicurezza ricercata prima di tutto nella preghiera, quella che, davanti alle autorità, alle associazioni locali, alle scolaresche, hanno pronunciato Luciano Caro e il vicario generale Massimo Manservigi, all’ombra del Castello Estense, dopo la deposizione della corona sulla lapide in onore ai caduti. O, per meglio dire, agli assassinati dal regime di Salò. "Ricorderemo sempre quei volti che non si nascosero dietro a una finestra e non tacquero le parole che andavano dette", ha affermato l’assessore alla cultura, Marco Gulinelli, al termine di un discorso che ha menzionato, tra gli altri, Guido Fink, critico letterario, teatrale e del cinema, testimone diretto delle vicende del ‘43; le stesse che il figlio, Enrico, ieri sera, ha messo in scena alla Sala Estense, nello spettacolo ‘Le tre notti del ‘43’, dove la voce di suo padre si è mescolata a quella di Bassani e del regista Florestano Vancini, in un incrocio di memorie e di voci eterogenee. Manca, certo, quella silenziosa del Castello Estense, che tuttavia sovrasta Ferrara, oggi come allora, e con le sue lapidi ricorda alla città l’orrore per l’indifferenza e l’onore della memoria.