
Stranieri in un ufficio immigrazione (. foto di repertorio
"Il mio padre spirituale ha la tua foto... se non rivedrò i miei soldi tu morirai come un pollo in un incidente d’auto. È l’ultimo messaggio". Le minacce ‘tradizionali’, evidentemente, non bastavano. È arrivato a mettere in campo anche pratiche magiche e riti tribali un nigeriano 39enne che ha incolpato il proprio avvocato della sua espulsione dal territorio italiano. Una vicenda inquietante che vede protagonista, suo malgrado, l’avvocato Enrico Segala, in passato difensore dello straniero durante l’iter di richiesta di asilo e poi contro le pratiche di allontanamento.
Per comprendere meglio la vicenda bisogna fare un passo indietro fino a un anno fa. Il 39enne, alla seconda richiesta di protezione pendente in questura, si rivolge all’avvocato Segala per essere assistito nelle pratiche. Nel frattempo, però, per lo straniero arriva la prima espulsione. Ne nasce un braccio di ferro giudiziario fatto di ricorsi e carte bollate ma nulla da fare: lo straniero viene prima accompagnato al Centro di permanenza per i rimpatri di Gorizia e poi imbarcato su un volo per la Nigeria. Passa qualche giorno e dal Paese africano iniziano ad arrivare sul cellulare del legale messaggi sempre più pesanti da parte del cliente. Lo straniero accusa Segala di non aver fatto nulla per perorare la sua causa ed evitargli l’espulsione e gli chiede del denaro con modalità sempre più insistenti e minacciose. "Non dire che non ti avevo avvertito. Quando torno in Italia ti ammazzo" è il tono dei messaggi ricevuti dal legale. Non serve nemmeno bloccare il contatto. Il 39enne continua infatti a minacciare scrivendo al professionista con un altro numero di cellulare.
Tra le varie frasi deliranti, spuntano i riferimenti a riti magici capaci, a dire del 39enne, di avere conseguenze letali sul difensore. "Ho dato la tua foto al mio native doctor (una sorta di leader tribale locale, in grado di eseguire rituali esoterici, ndr), morirai come un pollo. Tu credi che io non possa fare nulla perché sono nel mio Paese, ma io posso evocare il tuo spirito qui". Un episodio dai contorni inquietanti, ma che suscita anche una nota di riflessione. "Mi sto ovviamente muovendo per tutelarmi – ha commentato l’avvocato Segala –, ma episodi come questo mi fanno pensare alla situazione in cui operano molti colleghi. Essendo aumentate di parecchio la povertà e il disagio economico e sociale, sono cresciute anche le situazioni di conflitto. E a farne le spese sono spesso gli avvocati. Chi svolge questa professione si pone in un’ottica di mediazione, ma si trova in molte occasioni a dover pagare questa conflittualità".
La conclusione è amara, ma proiettata al futuro. "È il primo episodio davvero spiacevole in dieci anni di professione, ma non mi ferma di certo – chiude Segala –. Mi impegnerò ancora per il lavoro, l’integrazione e la tutela dei più deboli".