"Essere madri di figli con disabilità Tra impegno e senso di impotenza"

Oggi in municipio il libro di Cecilia Sorpilli: "Genitori, prendetevi cura di voi stessi senza sentirvi in colpa". .

"Essere madri di figli con disabilità  Tra impegno e senso di impotenza"

"Essere madri di figli con disabilità Tra impegno e senso di impotenza"

di Camilla Ghedini

‘Essere madri di figli con disabilità’ (Erickson Edizioni). È il libro che Cecilia Sorpilli, affetta da una distrofia muscolare rara, presenterà oggi alle 16.30, in anteprima, alla Sala Arengo del Comune, in un evento voluto dall’assessorato alle Politiche Sociali guidato dall’assessore Cristina Coletti, che introdurrà l’iniziativa e che l’autrice ringrazia "per sensibilità e disponibilità". Il testo, frutto di un dialogo con madri svoltosi utilizzando la tecnica del counseling motivazionale e narrativo (tecnica che mira a ricercare e potenziare risorse personali già esistenti), parte dall’esperienza di ‘figlia’ di Sorpilli, ma si nutre dei suoi studi e del suo lavoro.

Cosa significa avere una malattia genetica rara?

"Impegnarsi su due fronti. Attivarsi per sostenere la ricerca, per coltivare una speranza di cura se non per sé stessi almeno per i più giovani. Cercare di conoscere persone che condividono la tua stessa situazione per sentirti meno sola, perché con una patologia rara spesso non hai prospettive né di cura né di terapie di mantenimento"

Da figlia, cosa senti di dire a genitori di figli con grave disabilità?

"Di prendersi cura di loro stessi, di concedersi tempi e spazi senza sentirsi in colpa, perché se loro stanno bene e hanno energie fisiche e psicologiche, possono sostenerci al meglio nell’affrontare le sfide che la patologia ci pone".

Le madri di figli con disabilità, più di altre tendono all’abnegazione. Quale il loro sentimento prevalente?

"L’impotenza. Dedicano tutta la loro vita alla cura e all’assistenza, dimenticandosi di sé nella speranza di poter dare ai figli ciò che la patologia toglie. Talvolta si sentono in colpa per aver generato un figlio ‘imperfetto’"

Perché le madri e non i padri?

"Perché funzionano in modo diverso. I padri sono solitamente proiettati più verso l’esterno, verso la dimensione sociale e relazionale della vita dei loro figli. Il lavoro di cura è spesso lasciato quasi esclusivamente alle figure femminili. Le madri sono maggiormente disposte ad aprirsi alla narrazione dei propri vissuti e della propria emotività, partecipando anche a gruppi di supporto. Per i padri è più difficile e imbarazzante, si sentono a loro agio nel fare più che del narrare".

Il counseling, cosa ‘può’ in questo ambito?

"Offrire un percorso di esplorazione e auto riflessione più ‘libero’ e non clinico. Uno spazio di ‘normalità’ in un contesto in cui tutto viene letto con le lenti della patologia".