Falsi permessi di soggiorno, il pm chiede un anno di reclusione

Al termine della requisitoria la procura presenta il conto ai quindici imputati rimasti.. Per due, pena poco più alta

Sta per chiudersi il processo per falsi permessi di soggiorno nato a seguito di un’inchiesta della squadra mobile di Ferrara che a novembre del 2017 portò all’arresto di Stefano Menozzi, che fu ritenuto a capo del giro di documenti farlocchi per far ottenere i permessi di soggiorno. E con lui finirono nei guai una ventina di stranieri. Menozzi ha già chiuso il conto con la giustizia patteggiando la pena, mentre per quindici stranieri sta terminando il processo davanti al giudice Giulia Caucci. Ieri, infatti, il pubblico ministero che ha coordinato le indagini, Ciro Alberto Savino, ha concluso la requisitoria con la richiesta di condanna a un anno di reclusione per tutti gli imputati, eccetto due per i quali il magistrato ha alzato l’istanza di pena a un anno e 8 mesi, perché al loro attivo avrebbero già dei precedenti. La prossima udienza del processo è stata fissata al 10 giugno, quando è probabile che il giudice Caucci legga la sentenza.

Le indagini. Secondo quanto ricostruito dagli uomini della squadra mobile, bastava chiedere (e pagare) per avere i documenti necessari a ottenere il permesso di soggiorno. Ma nelle carte venivano riportate informazioni non corrispondenti alla realtà. Peccato che, stando a quanto appurato dagli investigatori della polizia di Stato, quei documenti fossero tutti falsi. Un’attività redditizia, portata avanti dal gennaio del 2012 al maggio del 2017. A finire nei guai, insieme a Menozzi, all’epoca, anche ventidue stranieri.

Il meccanismo. L’iter era semplice: gli stranieri che avevano bisogno di documenti per portare a termine la richiesta di permesso di soggiorno (per lo più nordafricani), si rivolgevano a Menozzi. Lui provvedeva a tutto, in certe occasioni spacciandosi pure per commercialista. Secondo gli investigatori, era in grado di falsificare ogni documento necessario, dalle buste paga ai contratti di affitto, passando per gli attestati di reddito e i contratti di lavoro. Per questi ultimi si serviva del timbro di una cooperativa di tinteggiatura e pulizie con sede a Bondeno. Quando però gli uomini della Mobile sono andati a guardarci dentro, hanno scoperto che era poco più che una scatola vuota. La società risultava inattiva dal gennaio del 2015. Il servizio aveva un costo variabile dai 250 ai mille euro, a secondo del tipo di incombenza. La svolta nell’indagine arrivò il 18 ottobre del 2016 quando la polizia intercettò Menozzi in un bar di Copparo, proprio mentre incontro un ‘cliente’.

c.r.