


Era il 30 settembre 1998 quando il corpo di Willy Branchi, appena 18 anni, venne trovato nudo nella golena del Po, alle porte di Goro. Ora, 31 anni dopo, arriva la prima vera svolta in un giallo che ha rischiato di finire insabbiato senza vedere la luce: ci sono i primi indagati per omicidio.
Conta i giorni, Luca: «Sono 11.184» da quando, sull’argine del Po a Goro, venne trovato il cadavere del fratello Vilfrido Luciano Branchi, per tutti Willy, 18 anni. E oggi, dopo 30 anni e otto mesi, ci sono i primi soggetti iscritti per omicidio. I loro nomi sono stati secretati dalla procura estense – che sulla vicenda mantiene l’assoluto riserbo –, anche se indiscrezioni parlerebbero di almeno due persone. Eccola allora la nuova svolta, la più importante da quando sono state riaperte le indagini sulla morte di Willy, ovvero nel 2014 grazie ad un’intervista registrata all’ex parroco del paese al nostro giornale. E la ‘bomba’, nell’epoca dei social, è stata diffusa ieri da Luca Branchi, in un post sulla sua pagina Facebook, alla luce delle informazioni avute dal legale della famiglia, Simone Bianchi, che ha fatto accesso agli atti. Post accompagnato da una foto con il volto martoriato di Vilfrido.
«Dopo tanto dolore, tante bugie, prese per i fondelli, – scrive il fratello – la notizia potrebbe davvero essere la svolta decisiva per arrivare a quei bastardi che hanno ridotto in quel modo Willy». Bugie e omertà hanno infatti da sempre fatto da sfondo alla tragica vicenda del giovane ucciso con decine di botte in testa inferte con la bocca di una pistola usata nei macelli. «Ho aspettato con pazienza questo momento. Tante volte – continua Luca – ho pensato che non sarebbe più arrivato». Nessun dito puntato, da parte di Luca, perché «non sono qui a colpevolizzare nessuno ma se la Procura è arrivata a tanto, credo abbia in mano elementi decisivi».
Poi spazio alla commozione, legittima, normale. «Mentre scrivo ho gli occhi gonfi di lacrime, perché dopo aver visto mio padre morire pian piano, con la foto del suo Willy tra le mani, dopo aver ascoltato tutti i giorni, ancora oggi, mia madre parlare con Willy a voce alta e chiamarlo a ogni ora del giorno e della notte, credo sia il minimo».
Ma la notizia arriva anche a ridosso della chiusura delle indagini nei confronti di don Tiziano Bruscagin, per 32 anni parroco di Goro, accusato oltre che di falso (due volte in quattro anni) ora anche di calunnia nei confronti di un’intera famiglia (padre, deceduto, e due figli). Una figura ambigua la sua, contraddistinta per le tante mezze verità, le frasi intercettate e dette a mezza bocca, per poi avvalersi in più di un caso della facoltà di non rispondere. E non è nemmeno escluso che possa essere stato proprio il sacerdote, dopo la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini, a parlare nuovamente e a portare agli indagati per omicidio.
Poi c’è la misteriosa «motorella», una sorta di Apecar venuta alla luce per la prima volta grazie ad un’ambientale con protagonista il sarto di Goro, Rodrigo Turolla, uno dei sette indagati (uno già imputato) per false dichiarazioni. Ovvero il mezzo con cui Willy sarebbe stato trasportato da via Buozzi, luogo della prima aggressione, in un edificio dove potrebbe essere stato torturato o direttamente sull’argine del Po. «Un’altra donna è venuta a casa a dire che lui è stato caricato...». «Caricato»?, chiede il sacerdote. «Su una motorella e che la moglie di questo (del presunto omicida, ndr) ha voluto che la portassi via». Su quella «motorella» ci sarebbero stati gli odierni indagati per omicidio? L’inchiesta va avanti. «Ma questa giornata – chiude Luca – è tutta per te, fratello mio».