
. Il carcere di via Arginone (. foto d archivio Businesspress
In circa un’ora di interrogatorio davanti al giudice ha ricostruito quanto accaduto quella maledetta mattina tra le mura dell’Arginone. Giuseppe Palermo, agente di polizia penitenziaria imputato per la morte di un detenuto 29enne trovato impiccato nella sua cella il primo settembre del 2021, ha fornito la sua versione dei fatti. Il poliziotto è l’unico rimasto a processo per quei fatti, dopo che il gip ha disposto l’archiviazione di altri tre indagati (la comandante della polizia penitenziaria, un medico del carcere e una ispettrice). L’interrogatorio di ieri mattina davanti al gup Andrea Migliorelli era la condizione per poi intraprendere la strada del processo in rito abbreviato, che a questo punto verrà discusso nell’udienza del 14 ottobre.
Dalla ricostruzione del poliziotto emergerebbe come l’ordine di servizio per la sorveglianza del detenuto gli fosse stato comunicato dopo le 14.30, cioè ormai troppo tardi. A supporto di tale tesi, la difesa di Palermo ha anche prodotto un documento che scagionerebbe l’imputato. Poche parole a udienza conclusa da parte del legale dell’operatore, l’avvocato Alberto Bova. "Abbiamo deposto e abbiamo chiarito la nostra posizione – ha dichiarato –. Siamo fiduciosi di arrivare a una sentenza di assoluzione".
L’impianto accusatorio. Secondo la ricostruzione della procura il 34enne imputato, il giorno del suicidio in servizio di sorveglianza dalle 8 alle 16, avrebbe violato gli ordini della comandante Annalisa Gadaleta di svolgere accurati controlli nella cella del ragazzo, accertamenti che avrebbero dovuto tenersi a cadenza di non oltre venti minuti l’uno dall’altro. Passaggi necessari in quanto il 29enne detenuto era stato ritenuto ad alto rischio suicidiario dal medico di turno, che ne aveva infatti disposto la cosiddetta ‘grande sorveglianza’ fino alla rivalutazione del quadro psicologico. Stando all’impianto accusatorio, dunque, pur essendo a conoscenza del pericolo di suicidio da parte del ragazzo, l’imputato avrebbe omesso di vigilarlo adeguatamente nel periodo che va dalle 11.31 alle 14.50, ora in cui è stato trovato senza vita. Impostazione che la difesa ha invece contestato, ritenendo il poliziotto estraneo alle accuse che gli sono state mosse. Persone offese nel procedimento sono i genitori del 29enne, assistiti dall’avvocato Antonio De Rensis, fin da subito decisi a fare luce su quanto accaduto in carcere quella maledetta mattina, a poche ore dall’arresto del giovane. I familiari del ragazzo si sono battuti sin da subito per fare emergere la verità su quanto accaduto tra le mura della casa circondariale.
In particolare, sin dai primi passi delle indagini, inquirenti e familiari hanno cercato di capire cosa sia andato storto nella catena di gestione e assistenza del detenuto, dal momento in cui è stato arrestato a quello in cui è stato trovato impiccato con un lenzuolo all’interno della propria cella. Una vicenda alla quale ora, sentita la versione dell’agente, il giudice metterà un primo punto fermo dopo la discussione fissata per l’udienza di ottobre.
Federico Malavasi