Al lavoro il primo maggio? Scelta legittima, ma non per questo condivisibile. I segretari di Cgil, Cisl e Uil esprimono perplessita di fronte alle tante attività che sceglieranno di alzare la saracinesca anche nel giorno della festa dei lavoratori. "Certe scelte individuali, seppur legittime, sono un segnale di quanto sia calato il riconsocimento della dignità del lavoro – osserva Veronica Tagliati, segreataria provinciale della Cgil –. Se nemmeno nella festività simbolo del lavoro si pensa di lasciare i dipendenti a casa, significa che il lavoro viene considerato una merce. È un approccio in cui vengono meno dignità e diritti". La numero uno del sindacato di piazza Verdi conclude con un appello. "Non è l’apertura del primo maggio che inciderà sul fatturato delle singole imprese – afferma –. Le aziende dovrebbero capire che il riposo del primo maggio è un segnale significativo per i lavoratori che faticano tutto l’anno".
Una lettura non molto diversa da quella degli omologhi degli altri due confederali. "A lavorare il primo maggio sono quasi sempre donne. E, spesso, questa cosa va a detrimento del tempo passato in famiglia o comunque al di fuori dell’ambito lavorativo – così Massimo Zanirato, segretario della Uil –. In linea di massima ritengo che occorrerebbe creare un’infrastruttura sociale che riuscisse a garantire alle donne e ai lavoratori più in generale di non dover essere impegnati nella giornata della loro festa". La pensa così anche Bruna Barberis, segretaria della Cisl. "Al netto dei servizi essenziali che devono essere sempre garantiti – scandisce la sindacalista – ritengo che il primo maggio dovrebbe essere un momento dedicato ai lavoratori, al di fuori del loro impiego. Ci sono tante aziende, anche nella grande distribuzione, che scelgono di tenere aperto anche il primo maggio. Ma, francamente, si tratta di una scelta che non condivido: un anno è formato da 356 giorni, penso che per un giorno, il giorno dei lavoratori, le attività possano anche tenere chiuso".