Il Carroccio, un partito da ripensare

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di Cristiano

Bendin

Perché, a mio parere, la Lega è il ’malato politico’ da curare? Perché se è vero che dietro il calo di consensi ci sono mille motivazioni nazionali (l’avanzata di Fd’I, la crisi della leadership di Salvini e via dicendo), e pur ammettendo che le elezioni politiche seguono logiche diverse da quelle amministrative, non si può negare che la crisi della Lega ferrarese abbia radici lontane. Esaurita la spinta propulsiva dei primi mesi successivi alla travolgente vittoria del 2019, infatti, il Carroccio si è vaporizzato come partito organizzato e regge sulle spalle dei soli Alan Fabbri e Nicola Lodi. Sindaco e vice pensano già a una civica nel 2024 e, tra successi (Gad, concerti e lavori) e cadute (processi), sorreggono da soli quel che resta del vessillo di Alberto da Giussano. Privo di classe dirigente, logorato da contrasti, gelosie, vendette e ripicche personali - vogliamo ricordare i casi Anna Ferraresi, Rossella Arquà e Benito Zocca e i fuoriusciti Savini, Pignatti e Caprini? –, lacerato dalle divisioni tra Alto Ferrarese, città e Delta e con segreterie territoriali inesistenti, non solo ha perso importanti appuntamenti elettorali in provincia (cito, fra tutti, il caso emblematico di Cento) ma, nonostante governi baldanzosamente il capoluogo e disponga del favore (fatuo e illusorio) dei social network - e di quello facilmente mutevole del suo popolo per i risultati messi a punto (sicurezza, eventi post Covid e cantieri) -, il Carroccio estense ha perso voti. La scelta di Bergamini come candidato, infine, non solo non ha rasserenato gli animi ma ha alimentato nuove scintille, preparando il terreno per un nuovo, furibondo redde rationem interno.