Su una mensola c’è un quadretto, in cornice una pergamena. E’ uno dei tanti riconoscimenti che hanno ricevuto quei metri quadrati tra bancone e cassa, metri quadri d’orgoglio. Si chiama la bottega del formaggio, in via Cortevecchia si trova da una trentina d’anni. I titolari stanno facendo una ricerca, hanno bussato alla porta della camera di commercio per trovare quello che si può chiamare atto di nascita. "Si perde nella notte dei tempi", dice Paolo Bettetto, uno dei titolari. E’ alla cassa, batte il conto a Giorgio Srebout, un cliente storico, che proprio ieri ha compiuto 90 anni. "Le botteghe, un tesoro della città", un sorriso, gli occhi azzurri, uno spicchio di grana nella sportina, la torta attaccata al manubrio della bici. Guarda verso la strada, aggiunge: "Loro tengono alto il vessillo del commercio, c’è chi chiude. Il forno dall’altra parte della strada, facevano anche i bomboloni".
Botteghe storiche sulla carta d’identità. Commercianti che – sui tasti della cassa – battono scontrini e pagine di diario, spesso di famiglia che vanno avanti tra le onde della crisi, che si declina nel silenzio spettrale del Covid – e loro erano lì –, nelle bollette alle stelle che facevano impallidire, una pioggia di tasse, il ricambio generazionale spesso solo l’illusione di un padre che vede il figlio, una laurea in tasca, la testa ai libri e non più al bancone. Su quel bancone hanno trascorso una vita Riccardo Ballola, è lì dal 1982, e Giorgio Scabbia, la sua anzianità porta la data del 1988. "Ero un dipendente, sono diventato titolare. Una bella soddisfazione", dice buongiorno a una signora che ha fretta di ordinare. Anche Saulo Tassoni sta servendo un cliente, tra le cassette di ’Non solo frutta’. Ha coraggio da vendere, è stato premiato. "Gli altri fruttivendoli che erano qui hanno chiuso, io ho aperto. Pochi giorni prima dell’inferno del Covid", racconta. Dieci giorni prima, sembrava il colmo della sfortuna. "La gente aveva paura di entrare nei supermarket, venivano qui. Trovavano frutta e quattro chiacchiere". Ovattate dal velo di una mascherina, un po’ un modo per farsi coraggio quelle parole. "Ho passato quel periodo, sono orgoglioso di aver aperto. Le cose mi vanno bene ma il commercio è un’impresa sempre più difficile. Incassi cento, settanta se ne vanno via tra tasse e bollette. Sì, ci vuole coraggio". Umberto Paltrinieri deve guardare ancora più indietro per trovare le sue radici. Correva l’anno 1951, suo padre e sua madre aprivano la macelleria. Che è diventata la sua vita. "Ho cominciato subito dopo aver fatto il servizio militare, avevo 19 anni. Adesso ne ho 60", e mostra l’attestato. C’è scritto, su fondo verde, bottega storica. Guarda quelle due parole, medaglia da metere sul petto. "Ci sono tanti clienti che abitano qui, in centro. Ma ci sono anche tanti turisti. Noi teniamo vivi quei legami che fanno comunità". Due ragazze, due dipendenti sono al suo fianco da 25 anni. Una garanzia, che dopo di lui qualcuno terrà accesa quella luce. Come, qualche metro più in là, alla macelleria Travagli. Un lungo salto nel passato, al dopoguerra. La formazione. Anna Masina alla cassa, al bancone Paolo Travagli e il figlio Francesco. Sarà lui a raccogliere il testimone, a non far morire l’eredità, vite di lavoro. Francesco Carità, assessore al commercio. Dice: "Abbiamo idee e progetti per valorizzare le botteghe storiche, le attività con anni alle spalle. Valorizzazione sia commerciale che turistica. Siamo i primi a riconoscerne il valore". Giorgio festeggia 90 anni, il suo negozio è ancora lì.