
Era stato scarcerato dopo aver scontato la pena per l’omicidio di Tarek Hamad ‘Bocciata’ la richiesta di asilo, era clandestino. Trovato in Gad dalla polizia.
Dietro l’identità di quello straniero da espellere perché irregolare si allungava l’ombra di una vendetta finita nel sangue. Il suo nome è infatti legato a doppio filo a quello che le cronache hanno ribattezzato come l’omicidio del Sottomura. L’uomo fermato l’altro giorno dalla polizia era infatti uno dei membri del commando di marocchini che la sera del 29 aprile del 2012 assalì un gruppo tunisini in via Baluardi. Una spedizione punitiva per questioni di droga, dissero gli inquirenti all’epoca. Un conto aperto tra bande in lotta per il territorio, regolato a colpi di catene, mazze, martelli, bottiglie e una katana. Ed è proprio sotto i colpi della spada giapponese che rimase a terra esanime Tarek Hamad, tunisino di 25 anni. Ora, a tredici anni dai fatti, dalle strade del Gad è rispuntato Nabil Benabdennaby, oggi 36enne e clandestino. Al raid contro i tunisini era presente, certo, ma non fu lui a infliggere i colpi fatali. L’essere stato parte di quel gruppo gli costò comunque una condanna severa: 21 anni di carcere in primo grado.
Dopo averne scontati undici, il 7 novembre del 2023 esce di galera e ritorna a essere un volto come tanti per le strade di Ferrara. Appena fuori, presenta una richiesta di protezione internazionale. Porta i documenti in questura, avvia le pratiche e attende. A marzo del 2024 arriva la doccia fredda. La Commissione competente sancisce che la domanda del 36enne non può essere accolta. Per lui si apre dunque la strada della clandestinità. Nonostante tutto, rimane qui. E per un po’ di tempo esce dai radar. Fino a martedì mattina, quando, intorno alle 10, la polizia lo nota in corso Piave. Scatta un controllo. L’identificazione porta a galla un decreto di espulsione del questore. Al termine degli accertamenti, nella giornata di ieri viene scortato dalla polizia all’aeroporto. Ad attenderlo c’è un volo per il Marocco.
Si conclude così la permanenza nel nostro Paese di quel giovane finito in mezzo a una storia terrificante, fatta di faide sanguinose per contendersi un fazzoletto di terra sul quale spacciare droga. Il primo a farne le spese fu appunto Tarek. Circondato mente i suoi amici erano riuscito a scappare, fu travolto da una tempesta di colpi. Spranghe, catene, bottiglie e infine quella spada, i cui fendenti hanno raggiunto le gambe del malcapitato 25enne, lasciandolo dissanguato sull’erba a pochi metri dalle mura estensi. Non tutti pagarono per quel massacro. Molti si fecero di nebbia subito dopo i fatti, alcuni riuscendo anche a espatriare. Tre giorni dopo il delitto, gli investigatori risalirono invece a Benabdennaby, che era rimasto in zona. Lo identificarono come uno dei membri del commando, seppure non quello che aveva materialmente assassinato il tunisino. La presenza alla spedizione punitiva gli valse comunque un’accusa di omicidio in concorso e una pena pesante, scontata la quale forse pensava di poter iniziare una nuova vita. E magarì sarà così. Ma non in Italia.