"Il Messia che Dio ha avuto in mente non entra nei Palazzi"

di Marcello Panzanini

Fa sempre un po’ di impressione ascoltare il Vangelo di questa domenica. Giovanni, che è in carcere per aver messo davanti alle proprie responsabilità Erode, in pratica per aver detto la verità, dubita di Gesù. Stupisce, perché lo ha riconosciuto per quello che è quando entrambi erano nel grembo materno, e lo rivela alla gente che si accalca per ricevere il battesimo nel Giordano (e anche qualche rimprovero). Beh, adesso, che ha iniziato la predicazione non capisce più chi sia davvero quel suo parente: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". Già, si aspettava un altro Messia: muscoloso, coraggio, audace, che affronta di petto i nemici, uno che, come aveva detto nel vangelo della scorsa domenica, "tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile". E, invece, Gesù lo sconvolge. Apparentemente. Sì perché la risposta che manda a Giovanni è di ritornare alla Scrittura, alla fonte: "i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo", che è una citazione del profeta Isaia (la prima lettura di questa domenica). Il Messia che Dio ha sempre avuto in mente sceglie la prossimità con l’uomo, specialmente quello debole, fragile, malato, emarginato, senza speranza. Non entra nei palazzi del potere, nelle case lussuose dei benpensanti e dei ricchi, ma preferisce la “corte dei miracoli” che nessuno vuole e a cui nessuno si avvicina. Ma, per essere più prossimo a loro, Dio diventa uomo per prendere su di sé debolezza, malattia, sofferenza e morte: è quel lumicino esile in fondo al tunnel che ci indica la via d’uscita, che anche i ciechi possono vedere, la voce che quando sono nell’inferno dice "eccomi, sono qui, con te" e che anche i sordi possono udire, il soffio leggero e delicato che ci ridona la vita, quando tutto sembra ormai perduto. Gesù dice a Giovanni (e a noi) di non cercarlo in idee di Dio stereotipate e ingessate, perché lì non c’è, ma, dato che è re, nella sua corte: quella dei miracoli.