FERRARA
Non c’è la prova del passaggio del denaro, i fantomatici cinquemila euro che secondo le accuse dell’ex compagno di Barbara Paron – ex sindaco di Vigarano Mainarda ed ex presidente della Provincia – lei avrebbe incassato dall’imprenditore Parid Cara, per ottenere ’facilitazioni’ sulla pratica Ca’ Bianchina. Né il racconto dell’ex compagno di Paron, Daniele Cesari è stato ritenuti credibile dai giudici del Tribunale di Ferrara in composizione collegiale, che hanno assolto Paron (difesa Denis Lovison) dall’accusa di corruzione e la moglie dell’imprenditore, Lorenza Benati (difesa Simone Bianchi ed Enrico Ferri) da quella di favoreggiamento. Nelle 34 pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione, vengono ripercorsi in sintesi i momenti salienti del processo e spiegate le ragioni dell’assoluzione. "La deposizione del Cesari (in merito al presunto passaggio della mazzetta da 5mila euro cui il Cesari ha asserito di avere assistito in casa della ex, ndr) – scrivono i giudici – non può dirsi dotata del grado di attendibilità necessario per costruire di per sé sola prova di responsabilità dell’imputata".
L’incontro incriminato tra Cara e Paron – secondo l’accusa – sarebbe avvenuto in casa dell’ex sindaco di Vigarano, il 28 maggio del 2016, alla presenza di Cesari, il quale all’epoca non conviveva più con Paron. E addirittura lui si sarebbe reso conto del passaggio della busta di denaro, riuscendo a valutare a colpo d’occhio quanti soldi poteva contenere, qualche migliaio. Nel corso del processo sarebbe poi emerso circa cinquemila euro. Un racconto che come hanno sottolineato i giudici non trova riscontro se non nelle parole di Cesari. Non solo. Nelle motivazioni viene anche sottolineato che "non vì è prova che il mancato versamento delle rate annue di compensazioni ambientali che Ca’ Bianchina doveva versare al Comune di Vigarano Mainarda, dopo il 2013 e l’assunzione dell’onere di assicurare la manutenzione del verde dopo il 2011 sia dipeso da un accordo corruttivo intervenuto tra Paron e Cara, culminato nella consegna del denaro". Peraltro i giudici sottolineano anche che l’onere di far rispettare gli accordi previsti nella convenzione non spettavano all’organo politico, e quindi all’allora sindaco, ma all’organo tecnico del Comune. E neanche gli scambi di messaggi via whatsapp tra l’imprenditore e l’ex sindaco. Per la posizione di Lorenza Benati i giudici sottolineano come "non sia stato dimostrato che la teste abbia voluto intenzionalmente voluto rendere dichiarazioni false, potendo spiegarsi le titubanze e i contrasti emersi con dichiarazioni precedenti, con questioni mnemoniche".
cri.ru.