"Io la amavo, ma lei mi insultava Sono in carcere da innocente"

Delitto Placati, la verità di Saveri: "Quella sera abbiamo litigato e lei mi ha puntato un coltello alla pancia". I "non ricordo" dell’imputato sul cellulare spento e sul cambio di scarpe. "Non merito tutto questo"

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di Federico Malavasi

Prima che Doriano Saveri pronunci il nome di Rossella Placati passano diversi lunghissimi minuti. Un periodo in cui si riferisce alla 51enne uccisa a Bondeno tra il 21 e il 22 febbraio 2021 in maniera fredda, distaccata, quasi a voler mettere una barriera verbale tra sé e l’orrore. La chiama "questa persona", finché il pubblico ministero non gliene chiede ragione. "Faccio fatica – afferma l’artigiano 48enne imputato per l’omicidio della donna, sua compagna e convivente nonostante la loro storia fosse al capolinea –. La amavo veramente tanto. Avevo investito molto nel nostro rapporto". Quando Saveri pronuncia queste parole, è iniziato da poco il suo esame in corte d’Assise. È la prima volta che racconta la propria verità in un’udienza pubblica. Si professa innocente sin dall’inizio e lo ripete in aula. L’artigiano risponde prima alle domande dei pm Stefano Longhi e Lisa Busato, poi a quelle degli avvocati. Ripercorre il rapporto burrascoso con Rossella e si sofferma sull’ultima notte prima del ritrovamento del corpo. Ribadisce con decisione diversi aspetti già riportati in precedenti interrogatori, anche se la sua esposizione si fa più confusa e costellata di "non ricordo" in corrispondenza di alcuni passaggi su cui la pubblica accusa insiste maggiormente.

I litigi. L’imputato parte dalle presunte offese da parte della vittima e dalla decisione di controllare il cellulare di Rossella. "Diceva in giro che ero un drogato – spiega alla corte –, tutte cose false. Quel giorno ho notato il suo cellulare e ho voluto vedere se diceva queste cose anche a qualcun altro. Non capivo perché mi offendeva in quel modo, mi minacciava e insultava la mia famiglia".

L’ultima sera. L’esame si sofferma poi sul litigio del 21 febbraio, poco prima che l’operaia venisse uccisa. Tutto avviene in cucina. L’imputato spiega di essere tornato a casa e di aver portato del denaro a Rossella. Tra i due nasce un diverbio. "Quando mi sono voltato verso di lei – racconta – mi sono trovato un coltello puntato alla pancia. Ho fatto un gesto per disarmarla e mi sono tagliato". Saveri lo descrive come "un coltello da pane, liscio, circa trenta centimetri". Riferisce poi di essere andato in bagno per lavarsi le mani e di essere uscito.

Gli spostamenti. In aula vengono ricostruite le tappe della serata, il viaggio a Vigarano dalla ex moglie alla quale porta del denaro e il ritorno a Bondeno, dove dormirà sul divano. La pubblica accusa segnala un’anomalia: quella sera il cellulare di Saveri si spegne per due volte. Lui la liquida come una casualità ("Forse si è spento da solo"). La mattina dopo torna a Vigarano, porta alla ex altri soldi e le lascia anche il bancomat e le chiavi di casa. Saveri motiva il gesto in parte con la volontà di "denunciare Rossella e di trovare un avvocato" (pratica nella quale, a suo dire, avrebbe dovuto aiutarlo anche la ex), e in parte con il mantenimento della figlia.

Il corpo. Si arriva poi al momento del ritrovamento del cadavere, la mattina del 22. Saveri sta per uscire e decide di salire di sopra per avvertire Placati. "Ho visto la scena – ricorda –. Ero nel panico. Le ho messo una mano su una gamba e sul collo per vedere se era viva, poi sono andato dai carabinieri". La procura insiste sulle scarpe che Saveri si è cambiato tra il 21 e il 22 febbraio, riponendo le Converse che indossava il giorno prima in una scatola in cantina. "Non ricordo – afferma –. Ero sicuro di avere sempre quelle". In seguito, su richiesta del suo legale, precisa di essere abituato a cambiarsi le scarpe proprio in quel luogo.

In carcere. Le domande dei pm si concentrano infine sulle conversazioni di Saveri con alcuni compagni di cella, soprattutto con Antonio De Carlo. "Disse che avrebbe trovato qualcuno che si sarebbe accollato la colpa al mio posto – spiega l’imputato –. Voleva quindi sapere tutti i dettagli". All’inizio il 48enne rifiuta la proposta (rimasta comunque lettera morta), ma poi ci ripensa. Perché? "Sono innocente e in carcere da due anni. Stavo male". Risposta simile a quelle che darà quando viene messo di fronte ad altre intercettazioni ambientali nelle quali, parlando sempre con compagni di cella, pronuncia frasi che potrebbero essere interpretate come un riferimento all’omicidio. "Sono innocente – ribadisce –. Sono sicuro di non meritare tutto questo. Sono una persona buona, e nonostante ciò mi trovo in carcere".