Ferrara, 12 maggio 2017 - «La morte di Valerio Verri è un evento che avrebbe potuto essere evitato se fossero state assunte tutte le cautele». Eccolo l’esposto annunciato dalla famiglia della guardia ambientale volontaria uccisa l’8 aprile nel Mezzano (FOTO). «C’era qualcuno che doveva valutare la sicurezza di quei luoghi – spiega l’avvocato Fabio Anselmo – e la decisione di sospendere i pattugliamenti non doveva essere presa il 9, ma molto prima. Chi doveva farlo? Chi ha la funzione di ordine pubblico, chi stava facendo le indagini, chi ha diramato la foto segnaletica di Igor/Norbert».
ESPOSTO. Sedici pagine, con allegati articoli di stampa, cariche di rabbia dove i figli Francesca ed Emanuele Verri , ricostruiscono i nove giorni che hanno preceduto l’assassinio del padre. Si parte dal 29 marzo quando a Consandolo viene rapinato (della pistola) e ferito con un colpo di fucile un vigilante. «Fin dall’immediato – si legge nell’esposto –, veniva fornita una descrizione del malvivente: imponente corporatura, accento dell’est, tuta mimetica». Il giorno dopo, «su disposizione del Comando provinciale dei carabinieri», i figli ricordano la «maxi retata al Gad» con «50 militari impiegati», alcuni «della Compagnia di Portomaggiore». L’1 aprile il Carlino parla di «fondati sospetti sull’identità dell’aggressore al vigilante: un ex soldato dell’Armata rossa che vive tra Portomaggiore e Argenta da 12 anni». Quella sera a Riccardina di Budrio viene ucciso Davide Fabbri «e subito gli investigatori formulano l’ipotesi che a freddarlo possa essere la stessa arma rubata al vigilante». La foto del sospetto «era già in possesso delle forze dell’ordine».
SMS. Si arriva al 4 aprile, Marco Ravaglia, l’agente di pattuglia con Verri, sul gruppo whatsapp PolProv «invia una foto senza censure del ricercato per l’omicidio di Budrio». Al messaggio risponde il comandante della Provinciale: «Se lo si vede chiamare carabinieri e stare lontano». L’8 l’omicidio Verri e solo il 9 il prefetto blocca i pattugliamenti dei volontari.