
Era finito a processo con l’accusa di aver aggredito e ferito la ex, ma la contraddittorietà del racconto della presunta vittima ha portato a ribaltare la situazione. Al punto che il giudice non ha potuto fare altro che assolvere l’imputato con la formula più ampia. Protagonista dell’accaduto è un esercente 44enne. Il 6 gennaio del 2020 l’uomo era andato al palazzetto dello sport per assistere a una partita della figlia. Lì ha incontrato la ex moglie, futura parte civile nel processo a suo carico. Ed è proprio sugli spalti dell’impianto sportivo che si è verificato l’episodio finito al centro del processo. La donna ha accusato l’ex marito di averla spintonata causandole un trauma a una spalla (prognosi venti giorni). La denuncia della moglie ha dato il via a un processo che ha visto l’esercente imputato di lesioni. Udienza dopo udienza e sentiti testimoni e diretti interessati, il giudice Ilaria Inghilleri ha raccolto tutti gli elementi per valutare il caso ed emettere il proprio verdetto. Un’assoluzione che capovolge l’impianto accusatorio e che si fonda sostanzialmente su una ricostruzione dei fatti "offerta dalla querelante del tutto inattendibile". Il giudice punta il dito in special modo sulle "contraddizioni intrinseche del racconto, l’assenza di riscontri individualizzanti e, più in generale, la personalità della stessa emersa dall’istruttoria dibattimentale". La sentenza passa poi a sviscerare tutti gli elementi che non quadrano con l’ipotesi accusatoria. In particolare, il tribunale evidenzia la "scarsa verosimiglianza" della ricostruzione dei fatti della persona offesa riguardo agli spostamenti dell’ex marito prima dell’incontro al palazzetto dello sport, definendo invece "più lineare e logico" il racconto dell’imputato. Il focus si sposta poi sui riscontri documentali dell’accaduto, sostanzialmente assenti secondo il tribunale. "L’unico riscontro documentale – scrive il giudice – è costituito da due certificati medici". Tuttavia, i certificati "si limitano a richiamare le dichiarazioni rese dalla parte, senza riferimento ad autonomi accertamenti utili a suffragarle". Insomma, "il semplice riferito della querelante non è sufficiente a fornire prova del fatto, soprattutto considerati i pessimi rapporti esistenti tra i coniugi". Da qui la conclusione: nessuna prova della responsabilità dell’imputato.
f. m.