
"Ero contraria al Cpr quando ero consigliere comunale e lo sono tutt’ora da sindaca, perché vivo quotidianamente i disagi che crea sia alla popolazione detenuta, che alla comunità di Gradisca d’Isonzo". È proprio la prima cittadina del paese in provincia di Gorizia, Linda Tomasinsig a parlare al Carlino della sua esperienza nella difficile gestione del rapporto tra la sua comunità e gli ospiti del centro di permanenza per i rimpatri. L’ipotesi di realizzarne uno anche a Ferrara, nella zona dell’ex aeroporto militare, è circolata a seguito di una comunicazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al presidente della Regione, Stefano Bonaccini. La notizia ha creato un vespaio di polemiche e la contrapposizione si consuma tra chi sostiene che il Cpr rappresenti una garanzia di sicurezza per i cittadini e chi invece sostiene che una struttura del genere possa portare Ferrara a essere "un carcere a cielo aperto".
Sindaca Tomasinsig, la storia del Cpr a Gradisca d’Isonzo affonda radici lontane.
"Sì, ai tempi ero consigliera comunale e, ricordo, che mi battei a lungo per evitare che venisse aperta – allora si chiamava Cie – quella struttura a Gradisca. Era il 2003. Poi, nelle diverse evoluzioni e dopo la temporanea chiusura del 2018, il centro ha riaperto – questa volta come Cpr – tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020".
Che tipo di problemi ha generato la presenza del Cpr nella sua città?
"Ci sono state moltissime manifestazioni di protesta della cittadinanza e delle forze politiche. E, tra l’altro, abbiamo assistito a diverse morti che si sono verificate all’interno del centro. Ci sono state spesso rivolte dei migranti ospitati nel Cpr e le persone hanno vissuto queste situazioni con grande inquietudine".
A cosa si riferisce?
"Qualche tempo fa si è verificato un incendio all’interno del Cpr e i cittadini, osservando le colonne di fumo che si levavano dalla struttura, si sono profondamente spaventate. Senza contare che, per lo meno all’indomani dell’apertura della struttura, abbiamo avuto diversi problemi legati alle fughe dei migranti dal centro".
C’è chi sostiene che il Cpr sia un carcere.
"Sicuramente è un luogo nel quale i diritti delle persone sono messi a dura prova. Una detenzione forzata, una bomba a orologeria. E, tra l’altro, è un grosso disagio anche per le forze dell’ordine che nel nostro territorio – ma un po’ ovunque in realtà – si trovano a ranghi ridotti e oltre ai servizi ’ordinari’ devono svolgere un’attività molto intesa di monitoraggio al centro".
Secondo lei, insomma, aprire un centro di permanenza per i rimpatri non rappresenta un’opportunità per un territorio?
"No, anche perché le percentuali di rimpatrio a livello nazionale sono bassissime e non ritengo risolutivo aprire nuovi centri. Se da quattromila rimpatri annui (su tutto il territorio nazionale) si arrivasse anche solo a un raddoppio, non sarebbe comunque uno strumento risolutivo. Quello dell’immigrazione irregolare è un problema molto più complesso".