La data di oggi segna un capitolo di assoluta rilevanza nell’ambito delle esposizioni organizzate a Ferrara. L’inaugurazione della mostra ‘Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso’ era attesa come si attende il secondo libro di un grande scrittore esordiente, perché il seguito di una grande opera – si sa – lascia sempre un po’ scettici. Rispetterà le aspettative? In questo caso, la risposta è, schiettamente, sì. L’esposizione numero due del percorso ‘Rinascimento a Ferrara 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d’Este’, per coerenza cronologica e per qualità, è un vero e proprio sequel della prima mostra, risalente al 2023 e dedicata ad Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa. Apre oggi nelle sale di Palazzo dei Diamanti, , dopo il vernissage di ieri, e sarà visitabile fino al 16 febbraio 2025. "Gli antichi maestri che hanno reso celebre la ‘scuola ferrarese’ in tutto il mondo tornano protagonisti a Palazzo dei Diamanti", scrive l’assessore alla cultura, Marco Gulinelli, sul catalogo ricco di interventi e edito da Silvana Editoriale e Ferrara Arte. "La mostra ancora una volta ha tutte le carte in regola per meritare l’attenzione e il plauso del pubblico e della critica". Il pubblico è il primo punto fondamentale del discorso. Infatti l’obiettivo, dichiarato ormai da mesi, di mostrare al pubblico opere che altrimenti non avrà mai più la possibilità di vedere riunite in un unico luogo, Palazzo dei Diamanti, è stato raggiunto. Lo testimonia la lista dei prestatori e dei luoghi di provenienza dei quasi 120 pezzi in mostra. Si va dalla "semplice" (per vicinanza) Pinacoteca Nazionale di Ferrara, che ha sede nello stesso palazzo, fino a Brescia, Brera, all’Università di Cambridge. E ancora: il Louvre, i Musei Capitolini, Galleria Borghese, Lewisburg, Vienna, Dresda, Cracovia. Senza contare i numerosi dipinti da collezioni private, giunti da tutto il mondo.
Entrando nel merito, l’esposizione – curata da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli, con la direzione di Pietro Di Natale – ripercorre le vicende artistiche del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso I (1505) fino alla morte di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte, come quelli pubblici della città. La scomparsa della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti lascia Ferrara alle prese con la difficile sfida di un ricambio di alto livello. Nel 1496, la scelta di ingaggiare Boccaccio Boccaccino – che comunque deve fuggire sullo scoccare del nuovo secolo, forse colpevole di uxoricidio – indica la volontà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido: è proprio lo stile di Boccaccino, aggiornato su Leonardo e sui seguaci milanesi e venato di morbidezza veneziane, a lasciare un’impronta profonda, accompagnato da altri artisti che si aprono solo in parte alla maniera moderna, come Domenico Panetti e il parmigiano Francesco Marmitta. Tutti questi pittori sono rappresentanti in mostra, soprattutto con la funzione di introdurre i veri protagonisti del Cinquecento artistico a Ferrara, le figure centrali, attorno alle quali si svolge l’esposizione: Mazzolino, Ortolano, Garofalo e Dosso. I quattro lavorano insieme, di fatto dividendosi la committenza e sviluppando una scuola meno endemica e più aperta agli scambi con altri centri. Ferrara diventa così crocevia di influenze veneziane e romane, nordiche e centro italiane. Della meraviglia assoluta che suscitano le opere più importanti di Dosso, quasi tutte presenti in mostra, non serve scrivere granché. Idem dicasi per Garofalo.
La vera novità, invece, è data dalla volontà di trattare artisti come Mazzolino e Ortolano: pittori considerati di nicchia, per un pubblico specialistico, tornano a Ferrara, riemergendo dalle tante collezioni private in cui si erano adagiati, con l’arduo compito di affrontare il grande pubblico, per riprendersi, finalmente, il posto che meritano. Nella storia di Ferrara, certo, ma soprattutto nella storia dell’arte.
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