"Lazarus, la soglia di un viaggio interstellare"

Al Comunale l’opera rock di David Bowie. Malosti: "È la storia di un passaggio, metafora della vita. Manuel Agnelli? Un medium perfetto"

"Lazarus, la soglia di un viaggio interstellare"

"Lazarus, la soglia di un viaggio interstellare"

di Francesco Franchella

"Lazarus è la soglia di un viaggio che non sappiamo dove andrà a finire, ma che diventa di tutti gli spettatori". Arriva a Ferrara ‘Lazarus’, l’opera rock di David Bowie ed Enda Walsh, presentata da Ert Teatro Nazionale in esclusiva per l’Italia. Si tratta di uno degli ultimi lavori di Bowie, completato poco prima di morire, nel 2016. Lo spettacolo di Valter Malosti, con protagonista Manuel Agnelli nel ruolo di Newton, andrà in scena al teatro Comunale stasera, domani e sabato alle 21. Domani alle 17, appuntamento al Ridotto con Manuel Agnelli, Valter Malosti, Casadilego e il cast.

Valter Malosti, perché secondo lei Bowie ha deciso, nonostante la malattia, di scrivere Lazarus?

"Lo abbiamo scoperto dalle interviste inedite uscite di recente e fatte poco prima dell’infarto del 2004: il suo sogno di ragazzo era quello di scrivere un’opera di teatro musicale. Poco dopo Ziggy Stardust, nel periodo in cui è uscito il disco Diamond Dogs, Bowie avrebbe voluto fare un’opera di teatro musicale tratta da ‘1984’ di Orwell, ma gli eredi non gli diedero i diritti".

E perché scrivere un sequel del romanzo originale ‘L’uomo che cadde sulla terra’ di Walter Tevis?

"Il plot parte dal romanzo di Trevis, da questo migrante interstellare che è ancora intrappolato sulla terra, ma in sostanza il testo di Bowie è senza trama. È la storia di una mente in frantumi, che si ritrova tra memorie, doppi, visioni, in un reale che sembra più immaginato del sogno. È la storia di un passaggio: usa come tramite il migrante interstellare bloccato sulla terra come metafora di se stesso, ma anche di tutti gli esseri umani". Lei ha definito questo spettacolo un’allegoria autobiografica di Bowie. Perché?

"Con Bowie è sempre così. È lui ma non è lui, nel senso che l’opera ha molto a che fare con Bowie, ma anche con tutti noi. Tutti i suoi fan lo sanno: ognuno riconosce, in Bowie, qualche pezzetto della propria identità, perché è l’identità di Bowie ad essere vasta e accogliente. Accade lo stesso in Lazarus: lo spettacolo trasmette grande energia, vitalità, quella che noi vediamo rappresentata in Bowie: seppur malato, riesce a usare la sua creatività fino all’ultimo".

Perché portare in Italia Lazarus? C’è un discorso anche sociale dietro a questa scelta? In un certo senso, l’alieno rappresenta tutti i ‘diversi’.

"A Fellini chiedevano spesso se avesse abiurato il neorealismo. ‘No – diceva lui – il fatto è che io mi occupo dell’uomo non solo nella parte legata alla storia, ma anche dal punto di vista interiore’. La stessa cosa si può dire di Lazarus: non affronta grandi temi sociali, all’apparenza. E, tuttavia, all’interno dell’edizione anglosassone del libretto, Bowie ha voluto inserire il testo di un poema di Emma Lazarus, grande poetessa americana di origine ebraica: uno dei suoi poemi sull’accoglienza è finito alla base della statua della Libertà". ‘Per far rivivere qualcosa – ha detto Agnelli in un’intervista – bisogna avere il coraggio di metterci se stessi e di non fare delle copie".

Come fate rivivere Lazarus?

"Abbiamo cercato di far passare la potenza di questa musica senza imitare. Abbiamo fatto un grande lavoro sugli arrangiamenti, sono molto forti e contemporanei".

Come vede Manuel Agnelli nei panni di Bowie?

"È un medium perfetto. Si fa attraversare dalla musica e ce la restituisce nella maniera più limpida possibile. Manuel, che ha il dono di avere la stessa tessitura vocale di Bowie, non nega in scena la sua ferita interiore e allo stesso tempo non si sovrappone a quello che accade".