Il pastore Massimo Freddi dice addio a Ferrara. "Troppe multe, non tornerò più"

Da anni il pastore bresciano radeva gratuitamente i prati della città con le sue pecore

Massimo Freddi con le sue pecore sotto le mura di Ferrara (Businesspress)

Massimo Freddi con le sue pecore sotto le mura di Ferrara (Businesspress)

Ferrara, 7 dicembre 2018 - Dieci anni fa il pastore bresciano Massimo Freddi lasciò il lavoro in fabbrica per stare con le sue pecore all’aria aperta. Libero. Una specie di Serafino – film e canzone di Adriano Celentano – che scendeva fino alle sponde del Po, dalla sua Val Camonica, in cerca di pascoli per il gregge. Ma non avrebbe mai pensato di finire rinchiuso, lui e le sue 600 pecore (foto), nell’ovile della burocrazia. «In Emilia-Romagna – racconta – presi deve fare domanda scritta a tutti i singoli Comuni per ottenere il permesso di attraversarli».

Una trafila più ripida dei sentieri di montagna. Più umida e gelida delle nebbie padane. Che per un pastore vagante sono le fatiche, ma anche il senso delle cose. È la burocrazia. E il pastore, che da alcuni anni si vede a spasso sugli argini della provincia, ci ha sbattuto contro. «Trappole – dice –. Hai l’impressione non sappiano che stai tribolando. Non parlo dei ferraresi, che hanno sempre dimostrato affetto nei miei confronti, ma di certe istituzioni». Certe istituzioni che hanno bussato alla sua roulotte con prescrizioni e denunce. «Ecco perché non verrò più da voi». Ora si trova su un prato all’incrocio tra due torrenti lombardi e, teoricamente, dovrebbe puntare su Ferrara. Ma non quest’anno. Resta sul vallo. Freddi risponde tra i belati e l’abbaiare del cane Moro. «Non sei mai a posto. Troppa burocrazia. Troppo difficile. Ti fanno sentire su un territorio nemico. Tutte carte».

Le pecore di Freddi sotto le mura di Ferrara (Businesspress)
Le pecore di Freddi sotto le mura di Ferrara (Businesspress)

E sono fioccate denunce per pascolo abusivo sugli argini. «Per un pastore – sbotta – esistono ancora le dogane». «In Lombardia è in un modo, in Emilia-Romagna in un altro. Poi ci si chiede perché la pastorizia sia in ginocchio».

L’equivoco, di base, è che «a lui impongono regole per chi ha attività stanziali». «Invece io sono un pastore vagante». E per Freddi l’errante libertà è «quando la mattina alle 6 – sorride – esci dalla roulotte e fuori albeggia». Dinnanzi a lui si stende la luce del mondo. Punteggiata, sempre più spesso però, dalle divise di un ente pubblico in avvicinamento. A Ferrara aveva trovato la solidarietà che, per un uomo abituato a strappare metri alle salite della Val Camonica, si misura in ettari di pascolo vitale per la sua azienda in movimento. «Non sono né un pastore stanziale né un transumante. Sono un vagante».

Il campo base della sua vita è nel Bresciano, dove vivono moglie e due figlioli. Il suo lavoro è là fuori, assieme al cane Moro. Nel mondo. Su un pezzettino di verde che la «nostra civiltà sta restringendo giorno dopo giorno». «Vuoi per i diserbanti – spiega – vuoi per una burocrazia che spesso ci impedisce di lavorare. Da voi in ogni Comune devo chiedere un permesso al sindaco». Se il campo base è lassù, la mappa della sua vita si srotola lungo il ciclo naturale. In estate si va in alto, in inverno si seguono le sponde praticabili dei fiumi. Verso le pianure dal Po. Anche Freddi, a suo modo, è un navigante. «Le pecore si addossano sui grandi argini in cerca di cibo e andiamo sempre avanti». Ma il pastore si è stancato e come Serafino vuole tornare lassù sui monti.