Ferrara, 28 febbraio 2021 - Scriveva Hermann Hesse nel suo romanzo Demian: “Ogni uomo non è soltanto lui stesso, è anche il punto unico, particolarissimo e in ogni caso importante, curioso, in cui i fenomeni del mondo si incrociano una volta sola, senza ripetizione…”. Elisa Fargion era nata a Cagliari il 7 maggio 1891 da Abramo Arturo e Rachele Sacerdoti. Per tutti in famiglia era zia Lisetta, l’adorata sorella di nonno Eugenio. Di lei so poco, purtroppo, e non ho neanche una fotografia, anche se me la immagino mora, non molto alta, come tutti i Fargion. Quando ne accennavo o tentavo di chiedere qualcosa in più di lei, i nonni cambiavano argomento. Ero piccola, non mi ponevo troppe domande e la cosa non mi infastidiva più di tanto. Solo in un paio di occasioni nonna Alma si sbilanciò.
Il nonno era già morto da qualche anno e io ero un’adolescente curiosa. Fu in un pomeriggio particolare che nonna si aprì per la prima volta, raccontandomi della notte in cui nonno Eugenio aveva ricevuto una notizia terribile… E poi fu mio padre a dirmi, molti anni dopo, di quanto il nonno avesse avvertito Lisetta di non rientrare a Ferrara… Pochi, scarni spizzichi di memoria, qualche indizio e frasi lasciate a metà che, all’età di sessantaquattro anni, ho sentito il dovere di mettere a posto.
E così, nel tempo ho scoperto che zia Lisetta si era sposata felicemente con Gastone Levi, figlio di Enrico e Anna Voghera, nato a Ferrara il 15 maggio 1883. E che, lasciata Cagliari definitivamente, era diventata una cittadina ferrarese a tutti gli effetti, dato che il marito aveva un negozio in città e lì l’aveva portata a vivere. Anche dopo il matrimonio Elisa aveva continuato a frequentare nonno Eugenio, suo fratello, che viveva a Milano e possedeva una bellissima villa sul Lago di Como. La immagino con suo marito Gastone in estate, sotto il pergolato che profumava di uva fragola, o a passeggiare sul lungolago con nonna raccontandosi le loro giornate fra una partita di canasta o la preparazione di qualche pietanza gustosa.
Nonna Alma era piemontese, di Vercelli, e a casa sua non mancavano mai i piatti tipici della cucina ebraica, tra cui il salame d’oca, oggi praticamente scomparso. E doveva essere nell’estate 1943 quando nonno Eugenio la avvertì di restare alla villa, di non tornare a Ferrara, forse per farla fuggire in Svizzera... Credo che avesse un sesto senso infallibile riguardo al pericolo. E io ho preso da lui. Purtroppo zia Lisetta e zio Gastone non lo ascoltarono e lasciarono la famiglia Fargion per rientrare a Ferrara. Dopo l’8 settembre 1943 le cose peggiorarono per i cittadini ebrei… E cominciarono le retate naziste. Zio Gastone fu arrestato il 15 novembre, tradotto al carcere di Ferrara e poi a Fossoli. Non so dove si sia nascosta zia Lisetta una volta rimasta da sola, ma penso che per certo sia restata a Ferrara. Difatti fu arrestata il 5 febbraio 1944 nel Tempio israelitico. Ciò che mi sconvolge di più è aver scoperto che, secondo il calendario ebraico di allora, il giorno della retata fu Shabbat, di Sabato. Quindi zia Lisetta stava pregando quando fu arrestata, poi tradotta a Fossoli e da lì caricata sul convoglio n. 8 il giorno 22 febbraio, proprio come suo marito Gastone. Arrivati ad Auschwitz il 26 furono subito mandati alle camere a gas e poi bruciati. Chissà se almeno sono riusciti a rivedersi un’ultima volta per dirsi addio… Nel 1949 a destra sulla facciata della Sinagoga ferrarese è stata apposta una lapide in marmo con i nomi di tutti i deportati ebrei della Comunità poi sterminati nei lager nazisti.
Purtroppo il nome di zia Lisetta non c’è, perché è stato scritto sbagliato: Luisa al posto di Elisa. Un errore comprensibile nel caos del dopoguerra, inaccettabile nell’era digitale di oggi. Ho scritto oltre 4 anni fa alla Comunità ebraica senza alcuna risposta; ho reinviato loro la stessa mail poche settimane fa, ricevendo un asciutto riscontro – non una telefonata - carico di “…va considerato che… dato l’alto significato commemorativo… faremo il possibile…”.
Allora ho preso coraggio e, per non dover attendere altri 4 anni, ho bussato alla porta – scrivendo - della Soprintendenza ai Beni Culturali precisando che “…l’unico vincolo per la correzione del nome sbagliato è etico, non architettonico…” Mi è stato riferito che la mia istanza dovrà essere "valutata nella sua fattibilità", perché ci sono "aspetti architettonici e burocratici da considerare…".
Voglio credere che qualcuno interverrà presto per correggere quell’errore imperdonabile rimasto così per decenni nell’indifferenza collettiva. Il nome rappresenta l’identità, l’essenza di ogni essere vivente, non è solo un puro mezzo per agevolare l’identificazione di qualcuno. E se è vero che, secondo la tradizione ebraica, il nome attribuito ad ogni persona è connesso con l’anima e con la vita, essendo cioè il canale attraverso cui scorre la forza vitale, a zia Lisetta è stata negata la Vita attraverso la Memoria. E così è stata sterminata due volte: prima dai nazisti, poi dall’insensibilità della burocrazia.