di Stefania Calzolari
Oggi, la Chiesa celebra l’Ascensione di Gesù al cielo, episodio narrato sia nel vangelo di san Luca, proposto oggi dalla Liturgia, che negli Atti degli Apostoli. I due brani si corrispondono, pur conservando prospettive diverse: nel passo evangelico l’Ascensione è collocata temporalmente al termine della giornata di Pasqua, in Atti avviene invece dopo quaranta giorni. Si tratta molto probabilmente di un espediente letterario: l’autore di entrambi i brani è lo stesso san Luca, la cui premura evidentemente non è l’esattezza cronologica, ma il nesso con la Pasqua, a voler mettere in evidenza che Risurrezione e Ascensione sono eventi inseparabilmente congiunti. La missione della Chiesa, che è il frutto della Pasqua, consiste nel predicare e testimoniare il Cristo morto e risorto, nel quale si è compiuta la Scrittura, cioè il disegno di Dio annunciato dai profeti. Il vangelo di oggi inizia proprio da questo richiamo: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno". L’esperienza terrena di Gesù volge al termine; tuttavia il momento dell’addio non assume l’aspetto sofferto ed estremo di un “mai più”: il Maestro conduce i discepoli "fuori verso Betania", che è uno dei luoghi “simbolo” della vicenda umana di Gesù, la terra dell’amicizia e dell’intimità. Ancora, il racconto di san Luca si chiude con un cenno di sobrietà incantevole: "alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo". Il segno benedicente del Maestro è il suo testamento ultimo e segna la strada di tutti i credenti, raggiunge ciascuno di noi, discende sulle malattie e sulle delusioni ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite. Gesù “dice bene” di tutti gli uomini e donne di buona volontà, che nonostante i limiti e le fatiche cercano di vivere praticando il Vangelo nelle loro vite. Nel segno di questo gesto, arcobaleno di riconciliazione tra la Terra e il Cielo, inizia l’annuncio della lieta novella. Quella che era stata la prima profezia di Elisabetta a Maria, “benedetta tu fra le donne”, diventa l’ultima parola di Gesù: siate benedetti, tutte le creature siano benedette. Il Signore del mondo ci lascia una benedizione, non una condanna, o un lamento o un’ingiunzione, ma una parola bella sul mondo, una parola di stima, di gratitudine. Una benedizione apre e chiude il vangelo, dà origine al canto del Magnificat e si stende sugli apostoli che tornano a Gerusalemme “con grande gioia”: questa gioia dobbiamo saper annunciare, questo è il dono dei cristiani al mondo.