Ferrara, 23 giugno 2025 – “Spero un giorno di poter portare un fiore sulla sua tomba, che tornino in Italia i resti di quel ragazzo, il mio allievo prediletto. Non c’è più umanità”.

Augusto Fuschini, 65 anni, è stato per una vita in cattedra al liceo scientifico Montalcini di Argenta. Era lui il prof all’esame di maturità di Alessandro Coatti, 38 anni, studente modello morto laggiù, lontano. Fatto a pezzi. Santa Marta, una città di mezzo milione di abitanti sul mar dei Caraibi in Colombia. Era il 6 aprile del 2025. Il cerchio delle indagini si è stretto, sono stati arrestati 4 cittadini colombiani ritenuti responsabili dell’omicidio di Alessandro, biologo ricercatore alla Royal Society of Biology di Londra dove viveva da 8 anni. “Perché tanto odio – le parole spezzate dal dolore del prof –, per rubare un bancomat? L’umanità si è persa”.
Coatti, nato a Portomaggiore, viveva, prima di decollare per la sua brillante carriera, a Longastrino. Il cartello del limite di velocità, le case appoggiate alla statale, 1.930 abitanti al confine tra la nostra provincia e quella di Ravenna. Qui c’è la casa dei genitori, Gabriele Coatti e la moglie Sandra Lovato. Giovanni Coatti è lo zio di Alessandro, risponde al telefono. “Hanno arrestato quattro persone, quattro criminali. L’ho saputo proprio adesso”. Una pausa, il dolore che affiora. “Giustizia? Sì, li hanno presi ma la giustizia è una magra consolazione. Mio nipote è morto, è finita, non ritornerà più da noi, alla sua famiglia”. Esita, cerca un perché, non lo trova. “Il movente? Non c’è movente per ammazzare un ragazzo, per ammazzarlo in questo modo”. Dolore che si aggiunge a dolore. “Non so ancora quando le spoglie di Alessandro torneranno in Italia, il suo corpo straziato. Sono trascorsi mesi”.
Il nastro si avvolge. Il movente del crimine, avvenuto il 6 aprile, sarebbe il furto. Non il traffico di droga o la pista della criminalità organizzata come era stato ipotizzato in una prima fase. Coatti, arrivato il 3 aprile, aveva preso alloggio nel centro di Santa Marta. Sarebbe finito nella trappola che era stata tesa da criminali che contattano membri della comunità Lgbti per svuotare i loro conti bancari. E’ stato rapito, drogato, assassinato. L’ipotesi, una rapina sfuggita di mano. La polizia aveva scoperto il luogo esatto in cui il biologo era stato torturato, una casa abbandonata. Il corpo fatto a pezzi, impacchettato in borse, abbandonato. Gli inquirenti, alcuni giorni dopo l’omicidio, bloccano una donna. Aveva il cellulare di Coatti. La mettono sotto torchio, per ore. E’ lei il filo rosso che porta alla banda. E’ la svolta, scattano gli arresti. “Ma mio nipote non ternerà mai più”.