Omicidio Valencia, l'assassino di Cenci. "Così l'ho pestato e strangolato"

Eder ha parlato oltre un’ora: "L’ho afferrato per il collo, poi ha smesso di respirare. Ma non volevo ucciderlo". Il dolore del padre di Marcello

Eder Guidarelli Mattioli, classe 1985 (foto Businesspress)

Eder Guidarelli Mattioli, classe 1985 (foto Businesspress)

Ferrara, 17 ottobre 2018 - La storia è sempre maledettamente la stessa, ma le lacrime e la rabbia, questa volta no, sono diverse. Perché ora, a due passi dall’imputato Eder Guidarelli Mattioli, classe 1985 e un passato terribile alle spalle, ci sono i genitori di Marcello Cenci, l’ex compagno di calcetto strangolato nell’androne dell’appartamento di Valencia la notte del 2 luglio 2017.

«Non volevo ucciderlo – dice lui davanti al gup Carlo Negri, ripetendo l’interrogatorio reso il 9 febbraio in carcere –, volevo fargliela pagare per Irene, volevo le foto, i video, il suo cellulare. Ma poi ha smesso di respirare...». Nel chiuso della camera di consiglio, riecheggia solo la sua voce. Avvocati, pm, agenti della penitenziaria attoniti. E’ questo il momento più difficile di tutta l’ora e venti di piena confessione; questo il momento in cui Mario Cenci, non ce la fa più. Basta sentire quelle maledette parole sputate fuori, quelle brutalità inferte al figlio ‘fuggito’ in Spagna per stare lontano da quello stalker che già lo aveva massacrato di botte in altre occasioni. Mario esce in lacrime dall’aula, dove vi rimarrà fino alla fine dell’udienza.

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«Hola Marce». La mente di Eder torna al 30 giugno dell’anno scorso quando «presi malattia dal lavoro e ferie nei giorni successivi» per mettersi in auto e guidare fino a Valencia. Da Marcello. Ma l’ex amico a casa non c’è, Eder lo cerca per la città, noleggia uno scooter, tira cocaina, beve birra, va in discoteca. Il citofono di casa Cenci suona altre due volte, senza risposta. Alla terza Eder si apposta nell’androne, casco nero sulla testa. Passano le ore, ecco chi aspettava: «Hola Marce». La reazione di quest’ultimo si tramuta in una spinta che scatena ancora di più la rabbia di Guidarelli. «Mi fece cadere il casco – spiega lui –, io lo sgambettai facendolo finire a terra». Poi il ginocchio di ‘Eddie’, come tutti a Pontelagoscuro lo chiamano ancora, che si conficca sul torace di Cenci e la mano che gli tiene la testa appiccicata al pavimento. «Allentai la presa – dice – e Marcello cercò di scappare». Tutto inutile, perché Eder lo afferra per lo zaino, una cordicella si spezza e Marcello torna al tappeto. Eder lo trascina qualche metro, lo immobilizza nuovamente, «le mani ad artigli sul collo e con il ginocchio sul torace». Poi le continue domande sulla ex Irene, ossessione di Guidarelli. Le mani stringono ancora di più il collo della preda, «no, Eder, non l’ho violentata...». Marcello ormai è vinto, le sue ultime parole sono sfiati, gli occhiali schizzano lontano prima di essere distrutti dal suo aggressore. «Ad un certo momento – continua lui – ha perso i sensi e non respirava...».

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Scuse inutili. Non è finita. Marcello viene trascinato contro il muro, ‘interrogato’ ancora dal suo carnefice incapace di capire che l’uomo che tiene per il collo ormai è morto. «Gli presi il cellulare e gli lasciai 200 euro, come fosse uno scambio». Eccola l’ultima scena prima di fuggire, buttare la camicia, liberarsi di guanti e scarpe. Prima dell’arresto, non appena passata la frontiera. Sono le 16.30, qualcuno in aula gli domanda se ha intenzione di dire qualcosa ai genitori di Marcello. Lucida e disarmante la risposta: «Scusarmi non servirebbe a nulla, troppo grande ciò che ho combinato».