
Il critico Giulio Ferroni
Giulio Ferroni, critico e storico della letteratura, ha da poco tenuto una lectio magistralis dedicata a Roberto Pazzi, incontro che si è posto come prima parte di un doppio omaggio, a cui oggi seguirà un secondo tributo, alle 16, in Biblioteca ariostea.
Ferroni, come si descriverebbe?
"Come uno che ha studiato e amato la letteratura tutta la vita e che ora si trova davanti a questo inizio di millennio pieno di inquietudine".
Perché?
"Per vari motivi tra cui queste liti internazionali, la dittatura della tecnologia e la morte della natura".
Come descriverebbe Pazzi invece?
"Era un entusiasta del narrare e del rapporto tra narrazione e vita. Inventava storie con le contraddizioni della vita. Non ho mai conosciuto qualcuno che avesse tale entusiasmo della bellezza del racconto".
Perché lo ha voluto approfondire?
"Sono stato suo amico e mi hanno chiesto di dedicargli un ricordo. È uno che ho sentito vicino, che ha scritto tantissimo e merita attenzione".
Che ruolo ha nel panorama letterario contemporaneo?
"È un autore inclassificabile. Come tutti quelli che contano non possiamo ridurlo a una tendenza. Ha una cifra unica, la passione per la vita e per la cultura storica. È intriso di grandissima cultura, ma non come orpello egoriferito. Il suo messaggio è quello di una narrativa dialogica tra cultura e storia. Mostra le incoerenze della storia trasformandola in controstoria. In Pazzi si addensa il senso contradditorio dell’esistere".
E lei? Si sente affine a questa controstoria?
"Io non ho mai fatto controstoria, semmai ho fatto della satira nei confronti della cultura contemporanea. Sicuramente condivido lo sguardo critico ai vicoli ciechi della storia, all’illusione diversa della realtà".
Alcuni critici hanno definito l’opera di Pazzi come visionaria. Condivide?
"Sì, mi piacerebbe definirlo ‘fantastico esistenziale’. In lui c’è sempre un’attenzione alle pieghe esistenziali della vita. Lui amava il senso della perdita".
Che legame trova tra la sua parte poetica e quella più narrativa romanzesca?
"È una poesia di tipo esistenziale che cala sulle illusioni dell’io che si perdono nella vita e si collegano ai sentimenti umani e nella bellezza quanto più caduca. C’è un continuo tentativo di costruire bellezza".
Pazzi ha ambientato alcuni romanzi in poche lontane. Che tipo di funzione ha, secondo lei, la Storia nelle sue opere?
"Vedeva l’aspetto paradossale. Lui cercava il gusto della delicatezza nella paradossalità della vita. C’è una leggerezza nel modo di vivere la vita perché sa che alla fine qualcosa che sfugge, c’è sempre. C’è uno sguardo ironicamente presente e complice".
Chi oggi potrebbe porsi come erede di Pazzi?
"Non lo so, adesso non saprei dirglielo. Sicuramente è un’eredità difficile. Lui ha salvato la parola, strumento oggi in pericolo nella dittatura dell’intelligenza artificiale".