di Cristina Rufini
Unica condanna per un reato commesso durante il periodo di pandemia, per il proprio sostentamento, perché rimasta senza lavoro. In sostanza, è questo uno dei pilastri del ricorso che una extracomunitaria ha proposto contro il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno. ’Giustificazione’ che non ha assolutamente convinto i giudici della prima sezione del Tribunale amministrativo regionale di Bologna, che hanno respinto il ricorso presentato dalla donna in Italia dal 2008. Non è servito neanche che, nel frattempo, uscita dalla crisi pandemica, fosse riuscita a trovare un lavoro regolare.
Le motivazioni. Le osservazioni presentate nel ricorso redatto dall’avvocato che ha assistito la straniera, non sono state ritenute sufficienti a superare "la gravità dei fatti imputati alla ricorrente – scrivono i giudici – che ha trasportato 570 grammi di cocaina ed è stata condannata in via definitiva a due anni e otto mesi di reclusione. Si tratta di un reato che, per la particolare gravità e il particolare allarme sociale viene individuato dal legislatore come ostativo al rilascio del permesso di soggiorno". I giudici del Tar Bologna hanno poi sottolineato come il giudizio di pericolosità sociale riferito alla persona condannata deve già ritenersi effettuato a monte. Mettendo in evidenza anche che non sussistendo particolari esigenze familiari – considerando che la donna vive da sola - e che del tutto irrilevante è stato ritenuto dal Tribunale amministrativo dell’Emilia-Romagna, il fatto che la straniera avesse ottenuto un’occupazione regolare: "Aspetto che è insufficiente a bilanciare il giudizio di pericolosità sociale, così come individuato dal legislatore nel tratteggiare alcune tipologie di reati ostative alla concessione del permesso di soggiorno sul territorio nazionale. I giudici hanno quindi respinto il ricorso, compensando le spese legali sostenute dalle parti.